Il “fatto non sussiste” e “il fatto non costituisce reato”. Con queste formule per due diversi capi di imputazione ma identico reato la II sezione penale del tribunale di Brescia, presieduta da Anna Di Martino, ha assolto l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, che era accusato di calunnia nei confronti dell’ex procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo. La sentenza di oggi – ha commentato l’avvocato Augusto Colucci, legale del senatore di Area Popolare – dimostra che un giudice esiste anche a Brescia e non solo a Berlino”
In sede civile l’ex europarlamentare – salvato dal Senato il 10 gennaio scorso perché le sue dichiarazioni sono state giudicate insindacabili – in primo grado era stato riconosciuto responsabile di aver diffamato il procuratore aggiunto e e condannato a pagare 30mila euro. Ma l’ex primo cittadino, che aveva esternato contro il magistrato da europarlamentare, aveva chiesto di una sorta di “immunità retroattiva” al Parlamento italiano. Poi ottenuta con 185 sì, 65 no e 2 astenuti.
La prima delle due imputazioni per l’imputato nasceva dal fatto che nel 2012, alla fine del processo contro le banche sui contratti derivati sottoscritti da Palazzo Marino, l’ex primo cittadino aveva inviato al giudice del dibattimento una lettera sull’esistenza di una “documentazione prodotta dagli uffici comunali” nel 2005 sul “calcolo di convenienza economica” di un bond trentennale. Documentazione che per Albertini “se il pubblico ministero dichiara di non averla mai vista” voleva dire che “era stata fatta sparire in fase istruttoria”. Quando i magistrati bresciani, che sono competenti per i reati commessi contro quelli in servizio a Milano, avevano accertato che gli atti citati da Albertini non erano mai esistiti avevano deciso di procedere nei confronti del parlamentare per calunnia. Da questa accusa il giudici ha assolto l’imputato perché “il fatto non sussiste”. Perché probabilmente il giudice ha ritenuto che con quella frase l’ex sindaco non si riferisse a Robledo. In primo grado gli istituto di credito erano stati condannati mentre in appello sono stati assolti.
La seconda imputazione nei confronti di Albertini invece dalla relazione inviata a Brescia dal procuratore in risposta a un esposto del politico al ministero della Giustizia che chiedeva spiegazioni su tre casi giudiziari gestiti dagli uffici di Robledo e – secondo Albertini – non portati avanti correttamente: ovvero emendamenti in bianco, quella sull’acquisto della società Autostrada Serravalle da parte della Provincia di Milano allora guidata da Filippo Penati e l’inchiesta sui contratti derivati sottoscritti dal Comune. Anche in questo caso i magistrati d Brescia avevano deciso di procedere per calunnia. Il giudice ha assolto l’imputato perché “il fatto non costituisce reato” perché probabilmente il giudice non ha riscontrato l‘elemento soggettivo del reato riconoscendo ad Albertini la convinzione delle sue ragioni e non la volontà di accusare una persona sapendola innocente.
Se il Tribunale – come scrive il Corriere della Sera – si fosse fermato sulla soglia della insindacabilità voluta fortemente dal senatore e votata convintamente dai suoi colleghi, l’imputato non avrebbe potuto incassare la doppia assoluzione con formula piena. Benché siano naturalmente verdetti di primo grado suscettibili di riforma.