Hanno la faccia come il culo“, recitava uno dei più famosi titoli a nove colonne del settimanale di resistenza umana “Cuore”, allora diretto dall’immenso Michele Serra, durante gli anni di Tangentopoli. L’immagine di quella imperitura apertura mi è subito venuta alla mente mentre guardavo l’intervista che Rocco Casalino e Virginia Raggi hanno ottraiato a Enrico Mentana ieri sera, alla trasmissione Bersaglio Mobile.

Infatti, l’aspetto che più colpisce della sindaca di Roma – una che nel giro di 8 mesi ha saputo far apparire le sciocchezze imputate a Marino, dagli scontrini alle multe della Panda Rossa nella loro giusta luce – è proprio quell’aria da finta tonta, da persona che mai nulla sa, che mai nulla poteva pensare, che “signora mia, non ne sapevo nulla [di essere la beneficiaria di quella polizza di Romeo], sono sconvolta“. Una sindaca naturaliter al di fuori di tutti i giri e i magheggi e le zozzerie che pure – per mero, sfortunato caso – vedono protagonisti a uno a uno tutti gli uomini e le donne politiche da lei accuratamente selezionati per guidare Roma. Ricordate gli occhioni da cerbiatta che guardano dritto in camera mentre pronuncia con cura il plurale latino dei “curricula” che stava valutando? Ecco: diciamo almeno che come selezionatrice di curricula ha lasciato un’anticchia a desiderare? A oggi, l’elenco dei suoi collaboratori, compagni, assessori, bracci destri e sinistri finiti nei guai è ormai talmente lungo che se volessimo farne un riassuntino qui, sarebbero finiti i caratteri del post. Non è un’iperbole giornalistica: è più agevole elencare i nominati made in Raggi che non sono stati arrestati, inquisiti, indagati, licenziati, dimessi che tutti gli altri.

Tuttavia ieri sera, seguendo la mia sindaca in tv, mi sono resto conto che Virginia Raggi ha assolutamente la stoffa per fare politica. O meglio: quel certo tipo di politica capitolina e italica alla Buzzi e Alemanno. Infatti solo una persona con alcuni centimetri di strato di pelliccia sullo stomaco è in grado di uscire da un interrogatorio davanti alla magistratura di nove (9) ore, e andare dinanzi alle telecamere nazionali di Mentana con quell’aria un po’ così che abbiamo noi allo Studio Previti, e recitare, in rigoroso plurale majestatis, la parte della piccola fiammiferaia che è proprio serena, rilassata, tranquilla, sine ira et studio perché in fondo “è tutto bello, bellissimo” (cit.) Scajola, diciamocelo, in confronto era un pivello.

Una che si lamenta perché la stampa ha osato dare risalto alla bocciatura della presentazione del primo bilancio da parte dei revisori, ma poi non ha aperto sulla sua successiva approvazione. Nemmeno sfiorata dal dubbio che esista forse un concetto di notiziabilità, per cui un cane che morde un uomo (bilancio comunale approvato) non fa notizia tanto quanto un uomo che morde il cane (bilancio comunale bocciato).

Ma chi vuole prendere in giro, Virginia Raggi? Che domande: anzitutto noi romani. O meglio: quei due terzi di elettori romani che se la sono votata. Poi i militanti e gli iscritti al M5S, che se la tengono a sindaca ob Grillo collo solo perché Beppe ha deciso così. Il Caro Blogger ha infatti valutato che togliere il simbolo o imporre a Raggi le dimissioni sarebbe più dannoso al movimento che non tenere questa donna al Campidoglio e modificare il non-statuto del M5S via via in modo da non doverla licenziare. E se Raggi non sarà sfiduciata dal Consiglio comunale, o dal Caro Blogger, non c’è da sperare in una sua  improvvisa botta di dignità e di senso della decenza che la spinga a dare lei stessa le dimissioni per manifesta inadeguatezza al compito. No, Virginia Raggi non lascerà il suo scranno per nessuna ragione al mondo. O, almeno, non lo farà se non costretta. Perché come sentivo stamattina su un 80 Express incagliato nel traffico ben poco express: “Ce s’è ‘mbullonata a’ seggiola, e poi, quanno je ricapita a quella?” Vox populi, ma Virginia sa che chi ha vinto una volta la lotteria, difficilmente la vince una seconda volta. E perché ormai tutta Roma, a partire dal M5S locale, ha imparato a conoscerla, e prova un leggero senso di nausea verso quella sua sempieterna aria da giuggiolona mannara.

E nel frattempo, Roma? Roma niente, Roma non conta. Olimpiadi no, nuovo stadio della Roma ma che scherzi, metro C: salute!, foglie che intasano i tombini e conseguenti allagamenti quando piove, corse degli autobus diminuite del 35%, ore di lavoro degli autisti ulteriomente ridotte, strade sempre più zozze, vigili urbani (anzi, pardon, “appartenenti al Corpo di polizia locale di Roma Capitale”: se li chiamo “vigili urbani”, mi scrivono per lamentarsi) talmente rari per le strade che quando capita di trovarne uno, ormai gli chiediamo di farsi un selfie con noi, a mo’ di testimonianza storica per i posteri: er viggile de Roma c’è, e lotta insieme a noi.

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