Abbiamo creduto che la marocchina Ruby fosse la nipote dell’egiziano Mubarak, abbiamo creduto che Claudio Scajola abitasse a propria insaputa al Colosseo, abbiamo creduto che Umberto Bossi fosse Braveheart, abbiamo creduto che Massimo D’Alema non fosse un antemarcia del blairismo, abbiamo creduto che il blairista Matteo Renzi fosse un rottamatore della Casta, abbiamo creduto che il duo Grillo&Casaleggio fossero gli esploratori di nuove frontiere di democrazia; abbiamo creduto che la stampa nazionale, nell’enfasi macroscopica dedicata ai nuovi corsi amministrativi romani, fosse mossa soltanto da determinazione civile a informare. Sicché, per quale motivo non credere che Virginia Raggi fosse all’oscuro delle donazioni di cui era destinataria (con tanto di dedica affettiva), perché non credere che la sibillina fanciulla sia perseguitata sistematicamente da una sorta di sfortuna, tipo nuvola nera di fantozziana memoria, che la trasforma in un personaggio fiabesco: ogni volta che sfiora con le proprie labbra un principe azzurro della pubblica amministrazione capitolina questo si trasforma immediatamente in un orrendo batrace.
In questo misto mare di credulonità è possibile far arrivare un refolo di realtà?
Un primo effetto di benefico disvelamento c’è stato il 4 dicembre scorso, ma la strada per recuperare barlumi di spirito critico è ancora lunga da percorrere. Magari accompagnando la presa d’atto delle nudità effettive di finti sovrani imbroglioni, con la sacrosanta pratica dell’ironia. L’antico gingle del “una risata li seppellirà”.
Lasciando perdere il Bossi, dato per non più pervenuto insieme alla sua inguardabile figliolanza e al cerchio magico diamantifero, lasciando in pace il Gianroberto Casaleggio, dipartito alla volta della Gaia dei suoi sogni (dove magari potrà chiedere l’autografo al proprio maestro e mentore Isaac Asimov), vogliamo ammettere che il circo dei politicanti viventi fa abbastanza ridere? E che se impareremo a riderne forse riusciremo a smascherarne i traffici comunicativi e gestuali con cui pretendono di asservire la nostra capacità pensante.
Perché tale operazione è indispensabile? Per una ragione molto semplice: il panorama dei ridanciani mannari che ci circonda è la diretta conseguenza del clamoroso default qualitativo della classe dirigente nel suo complesso; da cui consegue l’inevitabile riduzione della pratica politica a livello demenziale.
In questi anni l’indignazione nei confronti dei politicanti ribaldi e affaristi, sostanzialmente nemici dei governati, ha finito per accreditare la mitologia retorica altrettanto incongruente dell’appello all’improvvisato (purché onesto), chiamato a sostituire in quanto voce dei cittadini l’inguardabile. Come se il problema del processo formativo al compito pubblico fosse una truffaldina fisima tecnocratica.
Poi ti ritrovi con le Virginia Raggi, che non sarà la zarina o l’arpia descritta dalla grande stampa, però fa ancora più danni per via della sua ormai conclamata inadeguatezza. Poi ti ritrovi con le stesse beghe politicanti di prima, che l’ordine poliziesco/repressivo di uno Staff milanese non riesce a tenere a bada (anche perché persegue logiche scopertamente consulenziali e di business). Allo stesso tempo ci si ritrova al governo le penose fotocopie di quello precedente; e un premier che rivela capacità di leadership analoghe a quelle del bradipo de l’Era glaciale.
Intanto nuvole nere si addensano sulla penisola e questi leader improbabili sanno solo escogitare l’ennesimo ricorso al lavacro delle urne. Per incassare auspicati vantaggi in quanto a organigrammi. Senza alcuna visione strategica, che la politica a misura della credulonità non rende necessaria.