Lettere agli editori, di Louis-Ferdinand Céline (a cura di Martina Cardelli, ed. Quodlibet) è un epistolario utile, stimolante, ironico e intenso che dimostra perché l’autore, al secolo Louis-Ferdinand Destouches, sia diventato colui che ha cambiato il corso della letteratura francese, e non solo, in modo dirompente e incontrovertibile. Ritroviamo, infatti, in queste lettere, che coprono il periodo che va dal 1932 (l’anno della prima pubblicazione de Viaggio al termine della notte) fino al 1961, anno della morte dello scrittore, il ritmo, il fraseggio, l’invettiva, la lucidità primitiva e la vitalità presenti nei romanzi, nei racconti, nei pamphlet e nelle sceneggiature scritte da Céline. Le lettere seguono il percorso editoriale dell’autore francese, periodo che potrebbe essere suddiviso in tre tappe: la prima è quella che lo vede riconosciuto da Denol, coraggioso editore di origine belga assassinato in circostanze misteriose a Parigi nel 1945; la seconda è quella dell’esilio in Danimarca, a Klarskovgaard, quando Pierre Monnier, estimatore di Céline, uomo che non aveva mai pensato di fare l’editore, si ritrova a essere colui che ridarà fama e successo allo scrittore; la terza e ultima tappa è quella della consacrazione definitiva quando Gallimard si accorge dell’autore e della sua inarrivabile prosa. Si tratta di una raccolta di 219 lettere straordinarie che mettono in luce aspetti biografici notevoli e raccontano in modo inedito la forza di volontà di Louis-Ferdinand Céline.
Stratìs Myrivilis è stata una delle figure più influenti della letteratura greca del Novecento. Originario dell’isola di Lesbo, partecipò come volontario alle due guerre balcaniche, alla Prima guerra mondiale e alla spedizione in Asia Minore conclusasi con la sconfitta greca e con la nascita della Repubblica Turca. Fu liberale, socialista, sostenitore del regime autoritario di Metaxàs, simpatizzante della resistenza al nazifascismo, anticomunista durante la guerra civile per poi morire di broncopolmonite in un’Atene barbarizzata dall’avvento della Giunta dei Colonnelli. Cambiò bandiera tantissime volte anche se quello che emerge in un’opera straordinaria, La vita nella tomba (traduzione di Maurizio De Rosa, ed. Asterios), da poco pubblicata in Italia, è un’endemica coerenza antimilitarista frutto della sua esperienza bellica. Protagonista immaginario del romanzo è un sergente che, in una serie di lettere ritrovate dallo stesso autore, racconta alla sua ragazza, rimasta ad aspettarlo a casa, la vita quotidiana in trincea, la stupidità dei superiori, il senso di fratellanza di giovani obbligati alla morte per ideali in cui non credono, la sopravvivenza in condizioni di totale indigenza, orrore, sporcizia. È un testo crudo, spietato, lirico, a tratti commovente, che vuole essere al contempo un inno alla pace e una feroce accusa ai poteri forti, capaci di decidere le sorti del mondo, ma mai disposti a fare un assalto con la baionetta.
La quinta edizione del festival letterario che si è concluso oggi a Milano, Writers, è stata dedicata ad Allen Ginsberg. Proprio in questi giorni Il Saggiatore ha pubblicato Non finché vivo. Poesie inedite 1942-1996 (testo inglese a fronte, edizione a cura di Bill Morgan, prefazione di Rachel Zucker, traduzione di Leopoldo Carrà). Poeta generoso, Ginsberg scriveva liriche anche su richiesta, figura emblematica del Novecento, ha scritto centinaia di versi. In questa raccolta inedita scopriamo un’intimità a tratti tenuta nascosta nei libri più famosi. Sono poesie viandanti: New York, San Francisco, Lima, Polonia, Cina spaziando da forti prese di coscienza politica e buddista al racconto delle sperimentazioni allucinogene, le infatuazioni dei vecchi bardi americani, i rapporti con gli altri autori beat, il disgusto nei confronti della violenza poliziesca, le illusioni dell’amore, le grottesche e ironiche manifestazioni di malinconia nei confronti di un’infanzia rivista attraverso la lente di un caleidoscopio epico e visionario.
“Aspettavo che gli Eterni/sovrapposti al cielo azzurro/e a muri di caseggiati/che 15 anni fa ho abitati/tornassero dalle porte del futuro”