Solo che intanto i mesi passavano, le temperature calavano, e gli aiuti promessi non arrivavano come avrebbero dovuto. “Le soluzioni che ci vediamo piovere dal cielo – continua – semplicemente non sono adatte per queste zone. Moltissime delle tensostrutture portate qui hanno ceduto sotto il peso della neve. Come era prevedibile, del resto. Tanta gente le aveva riempite con le balle di fieno recuperate dalle stalle mezze distrutte dal terremoto, e se le è viste venire giù alla prima nevicata, o addirittura a causa del vento”. Lo scetticismo degli allevatori, però, si è diffuso ben prima dei crolli di questi ultimi giorni. “Quelle che la Protezione civile ci ha portato sono tensostrutture alte 4 metri e larghe 6. La prima volta che le abbiamo osservate, noi siamo rimasti di stucco: erano senza chiusure sui lati corti. ‘Qui tra poco nevicherà, e la neve farà marcire il fieno’, abbiamo protestato. Inutilmente. E così poi è accaduto”.
“No a decisioni prese in un ufficio di Roma. Vengano qui e parlino con noi” – Per questi allevatori sono due le richieste che risuonano più insistenti alle istituzioni. La prima la sintetizza bene Mario: “Fare in fretta, innanzitutto: perché se la situazione non migliora, lo scoramento avrà la meglio e la gente andrà via da queste terre già disagiate”. L’altra, invece, è Ercole a indicarla con maggiore efficacia: “Non accetteremo che la strategia per affrontare la nostra emergenza sia pianificata in un qualche ufficio di Roma da chi non conosce nulla di allevamento e non ha mai messo piede in queste terre. Vogliamo che vangano qui, che ci guardino negli occhi e ci stiano a sentire. Ma bisogna agire subito: domani è già tardi”.