I due sono accusati di avere ucciso il 23enne dopo averlo seviziato e colpito con martello e coltelli da cucina. Foffo, reo confesso dell'omicidio, sarà giudicato con rito abbreviato, mentre Prato con l'ordinario
Sono accusati di omicidio volontario premeditato e aggravato da crudeltà e futili motivi per avere seviziato e ucciso il 23enne Luca Varani, dopo averne straziato il corpo con martello e coltelli da cucina. Per Manuel Foffo, reo confesso dell’omicidio, il pm Francesco Scavo ha chiesto trent’anni di reclusione nel processo con rito abbreviato. Marco Prato, invece, anche lui imputato per l’assassinio, sarà giudicato con rito ordinario. Le strade dei due ex amici si sono divise il giorno dopo il festino del 4 marzo scorso nell’appartamento di Via Igino Giordani, terminato nella follia omicida.
L’avvocato Michele Andreano, difensore di Foffo, nel chiedere il rito alternativo, davanti al gup Nicola Di Grazia, ha depositato una perizia medica, contenente analisi tossicologiche e psichiatriche, secondo la quale la capacità di intendere e di volere del suo assistito al momento dei fatti era grandemente scemata a causa dell’uso cronicizzato di alcol e droga. Al processo sono parti civili i genitori di Luca e la sua fidanzata. Secondo quanto scritto dal pm nel provvedimento di chiusura indagine, i due presunti assassini “dopo aver fatto entrambi ripetuto uso di sostanze alcoliche e stupefacenti nei giorni antecedenti l’evento”, la notte del 3 marzo, erano usciti dalla casa di Foffo, in via Igino Giordani, alla periferia est della capitale, e avevano “girato in macchina per la vie di Roma alla ricerca di un qualsiasi soggetto da uccidere o comunque da aggredire al solo fine di provocargli sofferenze fisiche e togliergli la vita“.
Tornati a casa, all’alba del 4, hanno chiamato Varani invitandolo a recarsi nell’appartamento. Una volta arrivato nell’abitazione, i due imputati lo “hanno fatto denudare“, scrive ancora il pm, per ottenere una prestazione sessuale e gli hanno offerto una bevanda con una dose di psicofarmaco che “lo stordiva a tal punto da costringerlo a recarsi in bagno“: lì ha avuto inizio l’atroce massacro che si è concluso, due ore dopo, in camera da letto, con la morte del ragazzo. Le verifiche effettuate dagli inquirenti in questi mesi, hanno confermato il ruolo dei due presunti assassini nella morte del giovane, ucciso a coltellate e colpi di martello. Tracce biologiche di entrambi sono presenti sulle armi, almeno tre, usate per uccidere Varani e questo farebbe cadere la tesi dei difensori di Prato secondo i quali il pr romano non avrebbe partecipato attivamente all’omicidio.
La vittima è stata colpita un centinaio di volte con martello e coltelli: prima un colpo alla testa, con il quale il giovane dopo esser stato drogato, è stato stordito. Secondo il referto dell’autopsia gli assassini si sono prima accaniti con le martellate su testa e bocca del giovane. Poi hanno tentato di strangolarlo con una corda di nylon e subito dopo, con almeno due coltelli da cucina, gli hanno massacrato la gola aprendola completamente senza però tagli letali. Il corpo di Luca presentava almeno trenta ferite, meno profonde, su petto e testa che gli sono state inferte forse solo per vederlo soffrire. La vittima è morta dissanguata, e solo allora, dopo quasi due ore di sevizie, gli assassini hanno smesso di infierire sul suo corpo.
Secondo quanto raccontato da Foffo, che confessò l’omicidio il giorno dopo averlo commesso, dopo la morte del ragazzo i due amici dormirono a fianco del cadavere per circa sei ore. Poi, nel pomeriggio del 4 marzo, lasciarono la casa per liberarsi degli abiti sporchi di sangue e del telefono cellulare della vittima. Quella notte Prato si fece accompagnare dall’amico in un albergo di piazza Bologna, dove sabato, a quanto raccontò, avrebbe tentato il suicidio con un mix di alcol e barbiturici. Foffo invece passò la notte nell’appartamento del massacro, dormendo su un divano, a pochi metri dal cadavere. La mattina del 5 marzo, Foffo raccontò al padre quanto accaduto e decise di costituirsi. Fu lui a portare i carabinieri nella casa dove il corpo della vittima giaceva da un giorno e mezzo. Quando gli inquirenti gli chiesero perché avesse ucciso il giovane, lui rispose solo: “Volevamo fare male…a qualcuno”.