Il 28 gennaio è stato approvato il decreto anti-immigrazione fortemente voluto da Donald Trump che blocca l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini provenienti da 7 paesi a maggioranza islamica (Siria, Libia, Iraq, Iran, Somalia, Yemen, Sudan). Per i siriani tale divieto è a tempo indeterminato mentre per le restanti nazionalità è limitato ad un periodo di 90 giorni in cui il governo americano prenderà di nuovo in esame i criteri per il rilascio dei visti. Oggi vi è una controversia tra un giudice e il presidente degli Stati Uniti perché il primo ha dichiarato inapplicabile tale decreto. La sostanza non cambia.
Per quanto il neo presidente degli Stati Uniti abbia sottolineato che non si tratta di una misura contro i musulmani, ma contro i terroristi che potrebbero provenire da questi Stati, ha accompagnato questa sua scellerata decisione facendo riferimento ai tanti cristiani che sono stati uccisi in quei paesi. In realtà, la maggior parte delle vittime dell’Isis sono musulmani, uccisi bruciati o decapitati dallo Stato Islamico e quelli che tentano di scappare adesso sono bloccati dal nuovo decreto americano. La Cancelliera tedesca ha ricordato, in una conversazione telefonica con Trump, la Convenzione sui rifugiati del 1951 che invita i firmatari ad accettare persone in fuga dalla guerra. Un’altra importante osservazione è che durante il suo discorso, per giustificare il decreto, Trump ha rievocato il tragico evento del’11 settembre per ben tre volte e sottolineato il pericolo del terrorismo. Bisogna tuttavia notare che l’Arabia Saudita, patria di 15 dei 19 terroristi che hanno attuato tale attacco, non è stata inclusa nella lista dei paesi soggetti al decreto. L’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oci), a cui appartengono 57 membri e ha una delegazione permanente presso le Nazioni Unite, rappresenta la voce collettiva del mondo musulmano, insieme alla Lega Araba, per quello che conta, hanno espresso la loro disapprovazione nei confronti delle decisioni di Trump.
Le reazioni della Lega Araba e dell’Oci sono risaltate di fronte al silenzio assordante dei governi arabi, la cui maggioranza ha deciso di non esporsi, compresi alcuni paesi che sono stati toccati direttamente da questa vicenda. Sembra infatti che siano prevalsi gli interessi nazionali dei singoli paesi e la mancanza di solidarietà e di unità della comunità araba, la ummah, è visibile anche di fronte a situazioni gravi come questa. Due dei principali attori regionali del Medio Oriente, l’Arabia Saudita e l’Egitto, non hanno rilasciato alcun commento sul decreto Trump. L’Arabia Saudita si è felicitata del fatto che uno storico nemico a livello regionale, l’Iran, sia stato colpito da questo provvedimento. La famiglia saudita spera infatti che con il nuovo presidente americano sia possibile la rinegoziazione del trattato nucleare con l’Iran e non ha dunque motivo per criticarlo. Il presidente egiziano si è mantenuto sulla stessa lunghezza d’onda di Riyadh, poiché vuole conquistare la fiducia del presidente americano grazie alla sua retorica contro il terrorismo. Tra i due leader corre infatti stima reciproca: Trump ha definito Al-Sisi “un uomo fantastico”. Il presidente americano sta considerando anche l’ipotesi di etichettare i fratelli musulmani, uno dei principali nemici del regime egiziano, come un’organizzazione terroristica e in una recente telefonata i due hanno discusso una possibile visita alla Casa Bianca.
La Giordania si è allineata alla posizione dei principali attori regionali ed il re Abdallah II ha svolto tranquillamente la visita ufficiale prevista il 30 gennaio negli Stati Uniti, diventando il primo leader arabo ad incontrare il nuovo presidente. Negli Emirati Arabi, il capo della sicurezza di Dubai, Dhahi Khalfan, si è addirittura espresso a favore del decreto affermando che “le precedenti amministrazioni americane hanno accolto tutte le persone del mondo arabo ricercate e classificate come terroristi”. In un comunicato recente, il ministro degli Affari esteri iraniano ha qualificato come “un insulto” la decisione di Trump.
L’Iraq, altro paese messo all’indice, ha reagito: il suo ministro degli Affari esteri ha chiesto agli Stati Uniti di fare un passo indietro e rivedere il decreto, definendolo uno sbaglio, e ha affermato che Baghdad ha bisogno degli Stati Uniti per sconfiggere lo Stato Islamico. La Siria di Bashar Al-Assad non ha commentato, nella speranza che il nuovo presidente americano mantenga le posizioni filo-russe dichiarate nella sua campagna elettorale. Inoltre con una crisi umanitaria che ha raggiunto livelli critici, non sorprende che il presidente Bashar Al-Assad non abbia rilasciato alcun comunicato.
Le organizzazioni internazionali che rappresentano i musulmani sono entità deboli, distaccate dalla realtà e dai problemi concreti della popolazione musulmana e araba. All’inizio della campagna elettorale di Trump, molti studiosi islamici dell’università di Al Azhar si sono schierati contro la campagna diffamatoria che è stata lanciata contro i musulmani in America. Adesso quegli stessi studiosi non hanno ancora espresso un parere sul decreto di Trump, e anche se lo faranno, pochi osservatori si aspettano che essi si allontanino dalla politica ufficiale del governo egiziano.
Franco Rizzi
Storico e Segretario Generale di UNIMED
Mondo - 6 Febbraio 2017
Muslim ban: deboli e divisi, i governi arabi preferiscono tacere
Il 28 gennaio è stato approvato il decreto anti-immigrazione fortemente voluto da Donald Trump che blocca l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini provenienti da 7 paesi a maggioranza islamica (Siria, Libia, Iraq, Iran, Somalia, Yemen, Sudan). Per i siriani tale divieto è a tempo indeterminato mentre per le restanti nazionalità è limitato ad un periodo di 90 giorni in cui il governo americano prenderà di nuovo in esame i criteri per il rilascio dei visti. Oggi vi è una controversia tra un giudice e il presidente degli Stati Uniti perché il primo ha dichiarato inapplicabile tale decreto. La sostanza non cambia.
Per quanto il neo presidente degli Stati Uniti abbia sottolineato che non si tratta di una misura contro i musulmani, ma contro i terroristi che potrebbero provenire da questi Stati, ha accompagnato questa sua scellerata decisione facendo riferimento ai tanti cristiani che sono stati uccisi in quei paesi. In realtà, la maggior parte delle vittime dell’Isis sono musulmani, uccisi bruciati o decapitati dallo Stato Islamico e quelli che tentano di scappare adesso sono bloccati dal nuovo decreto americano. La Cancelliera tedesca ha ricordato, in una conversazione telefonica con Trump, la Convenzione sui rifugiati del 1951 che invita i firmatari ad accettare persone in fuga dalla guerra. Un’altra importante osservazione è che durante il suo discorso, per giustificare il decreto, Trump ha rievocato il tragico evento del’11 settembre per ben tre volte e sottolineato il pericolo del terrorismo. Bisogna tuttavia notare che l’Arabia Saudita, patria di 15 dei 19 terroristi che hanno attuato tale attacco, non è stata inclusa nella lista dei paesi soggetti al decreto. L’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oci), a cui appartengono 57 membri e ha una delegazione permanente presso le Nazioni Unite, rappresenta la voce collettiva del mondo musulmano, insieme alla Lega Araba, per quello che conta, hanno espresso la loro disapprovazione nei confronti delle decisioni di Trump.
Le reazioni della Lega Araba e dell’Oci sono risaltate di fronte al silenzio assordante dei governi arabi, la cui maggioranza ha deciso di non esporsi, compresi alcuni paesi che sono stati toccati direttamente da questa vicenda. Sembra infatti che siano prevalsi gli interessi nazionali dei singoli paesi e la mancanza di solidarietà e di unità della comunità araba, la ummah, è visibile anche di fronte a situazioni gravi come questa. Due dei principali attori regionali del Medio Oriente, l’Arabia Saudita e l’Egitto, non hanno rilasciato alcun commento sul decreto Trump. L’Arabia Saudita si è felicitata del fatto che uno storico nemico a livello regionale, l’Iran, sia stato colpito da questo provvedimento. La famiglia saudita spera infatti che con il nuovo presidente americano sia possibile la rinegoziazione del trattato nucleare con l’Iran e non ha dunque motivo per criticarlo. Il presidente egiziano si è mantenuto sulla stessa lunghezza d’onda di Riyadh, poiché vuole conquistare la fiducia del presidente americano grazie alla sua retorica contro il terrorismo. Tra i due leader corre infatti stima reciproca: Trump ha definito Al-Sisi “un uomo fantastico”. Il presidente americano sta considerando anche l’ipotesi di etichettare i fratelli musulmani, uno dei principali nemici del regime egiziano, come un’organizzazione terroristica e in una recente telefonata i due hanno discusso una possibile visita alla Casa Bianca.
La Giordania si è allineata alla posizione dei principali attori regionali ed il re Abdallah II ha svolto tranquillamente la visita ufficiale prevista il 30 gennaio negli Stati Uniti, diventando il primo leader arabo ad incontrare il nuovo presidente. Negli Emirati Arabi, il capo della sicurezza di Dubai, Dhahi Khalfan, si è addirittura espresso a favore del decreto affermando che “le precedenti amministrazioni americane hanno accolto tutte le persone del mondo arabo ricercate e classificate come terroristi”. In un comunicato recente, il ministro degli Affari esteri iraniano ha qualificato come “un insulto” la decisione di Trump.
L’Iraq, altro paese messo all’indice, ha reagito: il suo ministro degli Affari esteri ha chiesto agli Stati Uniti di fare un passo indietro e rivedere il decreto, definendolo uno sbaglio, e ha affermato che Baghdad ha bisogno degli Stati Uniti per sconfiggere lo Stato Islamico. La Siria di Bashar Al-Assad non ha commentato, nella speranza che il nuovo presidente americano mantenga le posizioni filo-russe dichiarate nella sua campagna elettorale. Inoltre con una crisi umanitaria che ha raggiunto livelli critici, non sorprende che il presidente Bashar Al-Assad non abbia rilasciato alcun comunicato.
Le organizzazioni internazionali che rappresentano i musulmani sono entità deboli, distaccate dalla realtà e dai problemi concreti della popolazione musulmana e araba. All’inizio della campagna elettorale di Trump, molti studiosi islamici dell’università di Al Azhar si sono schierati contro la campagna diffamatoria che è stata lanciata contro i musulmani in America. Adesso quegli stessi studiosi non hanno ancora espresso un parere sul decreto di Trump, e anche se lo faranno, pochi osservatori si aspettano che essi si allontanino dalla politica ufficiale del governo egiziano.
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Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - L'attacco israeliano nei pressi della città di Daraa, nel sud della Siria, ha ucciso due persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale siriana Sana.
"Due civili sono morti e altri 19 sono rimasti feriti in attacchi aerei israeliani alla periferia della città di Daraa", ha affermato l'agenzia di stampa, mentre l'esercito israeliano ha affermato di aver preso di mira "centri di comando e siti militari appartenenti al vecchio regime siriano".