La guida suprema iraniana ha parlato nel corso di un incontro con i comandanti militari. I tempi del disgelo seguito all'accordo sul nucleare voluto nel 2015 da Barack Obama sono lontani. Dal 20 gennaio, data in cui Donald Trump è diventato ufficialmente presidente degli Stati Uniti, Washington e Teheran si allontanano ogni giorno che passa
I tempi del disgelo seguito all’accordo sul nucleare voluto nel 2015 da Barack Obama sono lontani. Dal 20 gennaio, data in cui Donald Trump è diventato ufficialmente capo della Casa Bianca, Usa e Iran si allontanano ogni giorno che passa. Ad alzare la voce oggi è Teheran: “Ringraziamo” Trump “perché ci ha aiutato a mostrare il vero volto degli Stati Uniti – ha detto la guida suprema dell’Iran ayatollah Sayyed Ali Khamenei nel corso di un incontro con i comandanti militari – abbiamo parlato della corruzione politica, economica, morale e sociale nel sistema dominante degli Usa per più di 30 anni, ma ora è arrivato questo uomo e durante e dopo le elezioni, apertamente e palesemente, ha rivelato tutto“. “Trump dice ‘abbiate paura di me’ – ha detto ancora Khamenei – il popolo risponderà a nelle manifestazioni del 10 febbraio (anniversario della Rivoluzione) e mostrerà la sua posizione di fronte alle minacce“.
Il punto di maggiore attrito è quello dell’accordo sul programma nucleare di Teheran raggiunto a Vienna tra l’Iran e il cosiddetto ‘5+1’ (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) il 14 luglio 2015, sul quale Trump è più volte intervenuto nelle ultime settimane. Se per il capo della Casa Bianca si tratta del “peggiore accordo della storia”, per Hassan Rouhani l’intesa “può diventare un modello di riferimento per negoziati analoghi e portare sicurezza e stabilità nella regione mediorientale”, ha detto il presidente iraniano durante la cerimonia di premiazione del Libro dell’anno a Teheran.
L’accordo era stato tra i principali punti del programma del capo della Casa Bianca in politica estera durante la campagna elettorale. Più volte il miliardario aveva promesso che avrebbe rinegoziato l’intesa una volta eletto: il 21 marzo 2016, nel suo intervento alla conferenza annuale dell’Aipac, potente lobby ebraica in America, l’allora candidato repubblicano aveva annunciato: “La priorità numero uno sarà smantellare l’accordo con l’Iran”.
La tensione tra i due Paesi è aumentata a partire dal 27 gennaio, giorno in cui il presidente Usa ha firmato il controverso ordine del giorno che blocca per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di 7 Stati a maggioranza musulmana, tra i quali l’Iran. Che, in tutta risposta, annunciava di voler applicare il “principio della reciprocità“, ovvero l’adozione di una misura analoga contro i cittadini statunitensi.
Tre giorni dopo un nuovo picco: lunedì 30 gennaio, Fox News riportava la notizia che Teheran aveva compiuto domenica un test di lancio di un missile balistico a medio raggio. Il dispositivo, lanciato da un sito a circa 140 miglia ad est della capitale, aveva volato per 600 miglia prima di esplodere. La risposta di Washington arrivava il 1° febbraio per bocca di Mike Flynn, consigliere per la Sicurezza nazionale: “Da oggi mettiamo ufficialmente l’Iran sull’avviso”, perché il test “viola le risoluzioni dell’Onu e minaccia gli Usa, gli amici e gli alleati nella regione”.
Il 3 febbraio il Dipartimento del Tesoro ha annunciato nuove sanzioni contro Teheran: le misure metterebbero nel mirino 13 individui e 12 enti – alcuni basati in Emirati Arabi Uniti, Libano e Cina – coinvolti nello sviluppo del programma missilistico. L’accusa: favorire il terrorismo.