Supera i 160 chilometri di lunghezza, poco più della distanza in linea d’aria tra Roma e Perugia. È larga circa 3 chilometri, nei tratti più ampi, e profonda più di 500 metri. Sono i numeri di una cicatrice nei ghiacci. Una frattura che si è aperta nella regione settentrionale dell’Antartide, nella piattaforma denominata Larsen C
Supera i 160 chilometri di lunghezza, poco più della distanza in linea d’aria tra Roma e Perugia. È larga circa 3 chilometri, nei tratti più ampi, e profonda più di 500 metri. Sono i numeri di una cicatrice nei ghiacci. Una frattura che si è aperta nella regione settentrionale dell’Antartide, nella piattaforma denominata Larsen C. Una ferita sotto osservazione da alcuni anni, il cui fronte, come mostrano ad esempio le immagini
satellitari, negli ultimi mesi ha accelerato la propria corsa tra i ghiacci del Continente bianco. Solo una trentina di chilometri la separano dal mare. Secondo gli esperti del Project Midas dell’Università di Swansea, in Galles – che stanno monitorando la regione dal 2014 -, potrebbe coprire la distanza rimasta in pochi mesi. E, raggiunto l’altro estremo della banchina, provocare, secondo quanto riporta il New York Times, il distacco di un iceberg tra i più grandi mai osservati.
“Non mi sorprenderebbe se la regione collassasse prima dell’arrivo dell’inverno in Antartide, nel giro di alcuni mesi – spiega a IlFattoquotidiano.it Carlo Barbante, direttore dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) -. L’apertura, infatti, si allarga e si allunga a una velocità di alcune centinaia di metri al giorno. E potrebbe portare al distacco di un iceberg di 5000 km2. Una superficie grande, per intenderci, all’incirca come la Liguria. Sarebbe uno dei dieci iceberg più grandi mai formati negli ultimi 30 anni, da quando cioè si studia l’Antartide approfonditamente. Ma questo distacco – aggiunge lo scienziato – potrebbe anche essere, per così dire, congelato per un anno. In Antartide si va, infatti, verso la stagione invernale e il mare, iniziando a ghiacciare, potrebbe letteralmente congelare la situazione”.
Il distacco di un grande iceberg nella piattaforma Larsen C – che si proietta sull’oceano a nord dell’Antartide come un enorme dito di ghiaccio – potrebbe, inoltre, innescare una sorta di effetto domino, esponendo le zone retrostanti, quelle più interne, a nuovi possibili cedimenti. Fino a superare un limite individuato dagli scienziati, a forma di arco, fondamentale dal punto di vista strutturale. Una sorta di punto di non ritorno, oltrepassato il quale “tutto l’estremo nord dell’Antartide – scrive il New York Times – potrebbe collassare in pochi mesi, cambiando radicalmente il paesaggio della penisola antartica”. “Cedimenti come quello cui stiamo assistendo, in realtà – spiega Barbante -, non sono così rari in Antartide. Già in passato, infatti, le piattaforme Larsen A e B sono collassate, rispettivamente nel 1995 e nel 2002. Il distacco che in questi mesi sta interessando la piattaforma Larsen C, però, non avrà conseguenze sul livello dei mari. Queste piattaforme, infatti – spiega il glaciologo -, sono già in equilibrio idrostatico con le acque in cui galleggiano. Come un cubetto di ghiaccio in una bibita”.
Ma cosa muove queste grandi masse di ghiaccio? Il glaciologo del Cnr esclude un coinvolgimento diretto del surriscaldamento del Pianeta, a differenza di quanto avviene ad esempio per la fusione dei ghiacci artici. “Nonostante il global warming abbia cominciato negli ultimi anni a mostrare alcuni effetti anche in Antartide, non possiamo tuttavia affermare – spiega Barbante – che in questo caso ci sia un legame con il riscaldamento globale. Mancano, infatti, evidenze dirette. Le cause potrebbero essere, invece, da ricercare nelle forze esercitate dal mare e dalla spinta dei ghiacciai. L’Antartide è, infatti, un sistema dinamico. Non è escluso, quindi – conclude l’esperto del Cnr -, che la piattaforma possa rigenerarsi in futuro”. Proprio come una ferita che si rimargina.