Il manager, il cui mandato scade in primavera, è indagato insieme, tra gli altri, al predecessore Paolo Scaroni e al faccendiere Luigi Bisignani. Anche loro, secondo la procura, devono essere rinviati a giudizio, così come il gruppo in base alla legge 231. L'accusa riguarda una presunta tangente da oltre 1 miliardo per ottenere la concessione su un giacimento petrolifero. Il cda: "Massima fiducia"
A un mese e mezzo dalla chiusura delle indagini sulla presunta corruzione internazionale per una maxi tangente legata a un giacimento petrolifero nigeriano, i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno chiesto il rinvio a giudizio dell’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, il cui mandato scade in primavera. Il manager, a cui il cda del gruppo pubblico ha prontamente confermato “massima fiducia”, è accusato di concorso in corruzione internazionale insieme, tra gli altri, al predecessore Paolo Scaroni e al faccendiere Luigi Bisignani. Anche loro, secondo la procura, devono andare a processo. La richiesta riguarda anche l’allora capo della divisione Esplorazioni Eni, Roberto Casula, un altro ex dirigente Eni nell’area del Sahara, Vincenzo Armanna, l’ex ministro nigeriano Dan Etete, Ciro Pagano, managing director di Nigerian Agip Exploration e Gianfranco Falcioni, altro presunto intermediario. Non solo: i pm chiedono il processo anche per l’Eni e la Shell, aggiudicataria del 50% dei diritti di sfruttamento ottenuti – stando alle accuse – grazie alle mazzette. Entrambe sono state indagate in base alla legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti.
Stando alle accuse, esponenti del governo nigeriano hanno ottenuto dal gruppo del petrolio e del gas partecipato dal Tesoro 1,09 miliardi di dollari in cambio della concessione per la stessa cifra ai due gruppi, nel 2011, dei diritti esclusivi di sfruttamento del giacimento Opl245. Di cui peraltro di recente la Nigeria ha ripreso il controllo in via cautelare proprio nell’attesa che si concludano “le inchieste in corso e le indagini a carico dei sospetti”.
La scorsa estate Descalzi è stato interrogato insieme a Armanna, l’ex manager del Cane a sei zampe che all’epoca di occupava delle attività nel Paese africano. Nell’avviso conclusioni indagini dello scorso dicembre i pm hanno descritto i passaggi dell’intera operazione. Nella loro ricostruzione si legge che Scaroni diede “il placet all’intermediazione di Obi”, intermediario nigeriano, “proposta da Bisignani e invitando Descalzi” (all’epoca dg della Divisione Exploration&Production) “ad adeguarsi”. Entrambi, sia Scaroni che Descalzi, avrebbero incontrato “il presidente” nigeriano dell’epoca Jonathan Goodluck “per definire l’affare” relativo al giacimento. La presunta mazzetta e il prezzo dell’acquisto sono equivalenti perché l’ex ministro del Petrolio Etete alla fine degli anni ’90 si ‘autoassegnò’ la concessione a costo zero, tramite la società Malabu e attraverso prestanome. Quindi i soldi pagati al governo nigeriano furono riversati al politico, che li avrebbe usati anche per “immobili, aerei, auto blindate. Secondo l’accusa l’attuale amministratore delegato si era “adeguato” alle direttive nell’ambito della trattativa.
Secondo quanto riferito da De Pasquale alla Corte di Londra nel settembre 2014, gli 800 milioni di dollari partiti nel 2011 verso due conti correnti intestati alla Malabu di Etete servivano per pagare presunte tangenti a funzionari e politici africani, ai manager Eni e agli intermediari esteri, da Obi a Bisignani all’imprenditore Gianluca Di Nardo. Ai dipendenti del gruppo petrolifero, al russo Ednan Agaev (indagato), a Bisignani e Di Nardo sarebbe stata destinata secondo i pm anche un’altra tranche, circa 215 milioni, sequestrata però nell’estate 2014 dalla magistratura inglese e svizzera.
L’Eni nel pomeriggio ha tornato a “ribadire la correttezza dell’operazione relativa all’acquisizione della licenza del blocco Opl 245, conclusa senza l’intervento di alcun intermediario, da Eni e Shell con il Governo nigeriano”. Il portavoce del gruppo ha aggiunto che “attualmente non ci è stato notificato alcun provvedimento” e che “la società, non appena è venuta a conoscenza dell’esistenza di una indagine avente ad oggetto la procedura di acquisizione del blocco Opl 245, ha incaricato uno studio legale americano, di rinomata esperienza internazionale, del tutto indipendente, di condurre le più ampie verifiche sulla correttezza e la regolarità della predetta procedura. Dall’approfondita indagine indipendente è emersa la regolarità della procedura di acquisizione del blocco Opl 245, avvenuta nel rispetto delle normative vigenti”.