Diritti

Il giudice alla trans che vuole cambiare nome: “Lei è disoccupata? Ah, quindi si prostituisce”. L’avvocato: “Andrò al Csm”

Il caso denunciato dall'avvocato in prima linea per i diritti Lgbt Cathy La Torre: "Che un giudice si permetta di avvalorare lo stereotipo trans uguale prostituta è un fatto gravissimo. Non mi è mai successo"

“È disoccupata? Ah, quindi lei si prostituisce? Si metta a verbale che la parte è una prostituta”. Si è sentita dire così una ragazza trans durante un’udienza che si è tenuta nella mattina di giovedì in un tribunale toscano. A raccontare la vicenda è Cathy La Torre, avvocato in prima linea per i diritti Lgbt, che preferisce mantenere l’anonimato sia sulla sua assistita, una trans di poco meno di 40 anni, sia sul giudice che avrebbe proferito quelle frasi. Il giudizio civile è infatti ancora in corso. L’udienza riguardava la richiesta di cambio di nome e di sesso da parte della ragazza, che da oltre 20 anni vive da donna e che vorrebbe avere finalmente i documenti rispondenti alla sua identità.

Marta (il nome di fantasia della ragazza), con le avvocate La Torre e Cristina Polimeno, si è ritrovata davanti un collegio di tre giudici. “La giudice relatrice – spiega La Torre sentita da ilfattoquotidiano.it – ha introdotto il caso in maniera molto corretta. Poi la mia collega ha chiesto alle tre toghe se avessero voluto sentire la loro cliente, farle qualche domanda. Di solito si fa così: il giudice deve infatti accertare rigorosamente l’immedesimazione nel genere eletto e questo lo si può fare con un consulenza medica, ma anche facendo delle domande”. Marta infatti non ha fatto l’operazione ai genitali, pur avendo fatto terapie ormonali e operazioni per rifarsi il seno. Dunque i giudici, in questi casi, sono molto più severi nel dare il nulla osta al cambio di nome e di sesso. “Il presidente del collegio prima ha risposto che non aveva interesse a sentire la parte. Ma dopo pochi secondi ha chiesto: ‘Lei di cosa si occupa? Che lavoro fa?’. Marta ha risposto di essere disoccupata, anche a causa dei documenti difformi rispetto all’apparenza fisica. ‘Ah, quindi lei si prostituisce?’ La mia assistita allora è scoppiata a piangere. A quel punto il giudice ha detto: ‘Si scriva a verbale che la parte è una prostituta‘.

Le due legali hanno protestato, dicendo che la loro cliente (che effettivamente per vivere è costretta a prostituirsi) non aveva risposto alla domanda se fosse o meno una prostituta: “Ma il giudice sosteneva che la donna avesse annuito con la testa. Abbiamo detto che la cosa comunque non era rilevante ai fini della loro decisione e non fosse messa a verbale, ma lui ha di nuovo detto che fosse scritto a verbale. Non ha voluto sapere nient’altro”. A seguito delle loro proteste le avvocate sono state congedate dal giudice, che si è riservato sulla decisione: “Sto valutando di segnalare il comportamento al Consiglio superiore della magistratura. Non mi era mai capitata una cosa del genere, ho fatto oltre mille di queste udienze”. Secondo La Torre “che un giudice si permetta di avvalorare lo stereotipo trans uguale prostituta, è un fatto gravissimo”. Infine conclude: “Con un tasso di disoccupazione tra persone trans al 88%, proprio a causa dei documenti difformi, il giudice avrebbe dovuto capire non solo che quella domanda non si fa, ma che spesso è proprio colpa della difformità dei documenti se le persone trans sui prostituiscono”.