Chiunque abbia un po’ di ore di esperienza “attiva” in barca a vela, sa bene che una cosa è conoscere cosa vuol dire “poggiare” o “mollare la scotta” oppure sapere come fare per “dare volta alla cima sulla bitta” o “dare una mano di terzaroli”. Cosa diversa è stabilire la rotta e far arrivare alla sua destinazione un’imbarcazione a vela con tutto il suo equipaggio superando gli imprevisti. I primi sono “i marinai”, i secondi sono “i navigatori di lungo corso”. Tutti gli altri sono “passeggeri”, che pure devono essere informati su dove mettere mani e piedi e come affrontare il viaggio in sicurezza.
Ritengo che nella società contemporanea il “digitale” rivesta il ruolo che fino a due secoli fa rivestiva la navigazione a vela. Era una componente essenziale della prosperità di una società e ogni nazione grande (in senso commerciale o militare) aveva di norma una grande flotta (commerciale o militare) di velieri, e viceversa. Avere bravi marinai e navigatori competenti era vitale. Il benessere della nazione dipendeva sia dalla quantità dei primi che dei secondi. Ma era ben chiara l’importanza di addestrare sia gli uni che gli altri.
In un post di ormai 3 anni fa avevo introdotto una distinzione tra alfabetizzazione digitale ed educazione digitale, che qui riprendo ed estendo utilizzando il contesto di questo parallelo con la marineria. L’alfabetizzazione digitale (digital literacy in inglese) dovrebbe essere completamente compiuta, come l’alfabetizzazione propriamente detta, al più tardi al termine della scuola elementare. Così come la parte di alfabetizzazione che ha a che vedere con i numeri è basata sulla matematica, così la sua componente che ha a che vedere con il digitale deve essere basata sull’informatica. Nel paragone marinaresco, essa forma i passeggeri, perché comunque, per cavarsela a bordo di una nave, bisogna essere consapevoli del fatto che non si è più sulla terraferma. Detto così appare banale, perché non appena saliamo a bordo di un’imbarcazione tutti i nostri sensi ce lo dicono. Ma nel mondo digitale ci mancano “i sensi” adeguati.
L’alfabetizzazione digitale fornisce le “competenze digitali di base” (basic digital skills fa più figo ma è la stessa cosa), essenziali per potersi orientare in quella “nave digitale” che è la società attuale.
L’“educazione digitale”, chiamata anche “cittadinanza digitale” e nota nel mondo anglosassone come digital fluency è la capacità di muoversi del tutto a proprio agio in una comunità sociale pervasa di strumenti e dati digitali. La formazione di cittadini digitali, così come la formazione di cittadini tout court, dovrebbe essere completamente conclusa al più tardi al termine della scuola secondaria. A maggior ragione, essa è basata sull’insegnamento del nucleo scientifico-culturale dell’informatica, quello che chiamiamo pensiero computazionale. Questo livello di formazione produce i marinai, cioè quelli che nell’oceano digitale posseggono la digital fluency.
Una nota di cautela: spesso nelle discussioni mediatiche e politiche si usa il termine “competenze digitali” (digital skills) senza qualificare se si parli di quelle di base, prodotto dell’alfabetizzazione, o di quelle che rendono uno studente un vero “cittadino digitale”, ottenute al termine del percorso scolastico.
Voglio anche evidenziare il pericolo di affrontare la formazione delle competenze digitali senza fondarle sul pensiero computazionale. Temo che un tale approccio conduca a formare marinai che come diceva Leonardo da Vinci: “Sono come i nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano”.
Infine sottolineo l’importanza del terzo livello di formazione: quello dei navigatori, cioè degli specialisti. La loro formazione è compito del livello terziario dell’educazione (cioè dell’università). A causa della pervasività delle tecnologie dell’informazione, per poter far sì che ci siano abbastanza studenti (e soprattutto studentesse) che vogliano diventare specialisti, è importante che l’informatica come disciplina scientifica sia correttamente introdotta nella scuola, in modo che tutti gli studenti possano acquisire confidenza con i suoi princìpi di base fin dai primi livelli di istruzione. Questo argomento, si badi bene, è aggiuntivo rispetto a quello che sostiene l’importanza di insegnare informatica nella scuola perché è la base scientifica sulla quale costruire il “cittadino digitale”.
Entrambi gli argomenti son ben chiari ai decisori politici negli Usa che, al netto dell’enfasi mediatica sul coding, si sono mossi di conseguenza: si veda, ad esempio, l’iniziativa Informatica per tutti di Obama che ha inserito la “computer science” (cioè l’informatica) tra i well rounded subjects cioè nell’insieme delle materie che devono far parte dei programmi educativi scolastici e dei programmi di formazione professionale degli insegnanti. E in Europa?