Il 15 febbraio è in calendario il prossimo round di aggiornamento sulle procede d’infrazione in corso, che riguardano qualità dell'aria, gestione dei rifiuti e delle acque reflue. Il report preparato intanto dalla Commissione non fa ben sperare: al nostro Paese viene contestato di essere indietro sia sulla depurazione sia su infrastrutture, smaltimento in discarica. In più vengono chiesti più controlli sui consorzi che gestiscono la raccolta e l’avvio al riciclo
Arriveranno il 15 febbraio, ma non saranno un dono d’amore ritardatario. Nel prossimo round di aggiornamento sulle procedure d’infrazione europee potrebbero esserci novità per niente positive per l’Italia. Anche in materia ambientale. E intanto, a funestare un’attesa già critica, sempre sul fronte dell’applicazione delle politiche ambientali è arrivata la bocciatura da parte di Bruxelles. La Commissione europea ha infatti avviato un riesame dell’attuazione delle direttive “verdi” nei 28 stati membri, pubblicando un report per ogni Paese. Un dossier che per l’Italia è solo apparentemente morbido, ma in realtà risulta infarcito di spine: la Commissione Juncker, infatti, contesta al nostro Paese “la priorità relativamente bassa assegnata all’ambiente” negli ultimi dieci anni, mentre “gli sviluppi politici in materia ambientale in Italia sono trainati principalmente dai regolamenti e dalle direttive Ue”. Se non fosse stato per l’Ue, è il senso, il nostro Paese avrebbe relegato le misure ecologiche in fondo alla lista dei provvedimenti mai presi.
Italia sotto accusa – Le premesse, insomma, non lasciano ben sperare. Al prossimo round di aggiornamento si prevede che la Ue faccia un passo avanti in tre procedure di infrazione chiave. A partire da quella sulla qualità dell’aria, sulla quale, spiega a ilfattoquotidiano.it Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente, “non ci verranno fatti sconti perché in ballo c’è la morte di migliaia di persone all’anno e il problema mai risolto della Pianura Padana ammorbata dall’inquinamento atmosferico”. Anche sulle contestazioni sul tema della gestione dei rifiuti dovrebbe arrivare la diffida della Commissione a uniformarsi alle regole comunitarie, mentre nel procedimento che vede l’Italia sotto accusa per la cattiva gestione delle acque reflue dovrebbe andare addirittura peggio, con il ricorso alla Corte di giustizia europea per inadempimento delle norme. Sarebbe l’ultima ratio, il segno che il nostro Paese non ha dato segni di vita ai richiami dell’Ue. “All’Italia non importa nulla di violare la normativa ambientale. Non reagiamo neanche di fronte alla montagna di soldi che continuiamo a pagare, 40 milioni all’anno dal 2014, più altri 40 milioni forfettari, proprio mentre dall’altra parte ci assilla il problema del disavanzo pubblico”, commenta a ilfatto.it Monica Frassoni, copresidente dei Verdi europei.
Bocciati su tutta la linea – Una prospettiva che si inserisce in un quadro critico da diversi punti di vista. “L’attuazione delle politiche ambientali rappresenta per l’Italia una sfida, in considerazione delle notevoli divergenze regionali esistenti in termini di gestione delle risorse idriche e dei rifiuti”, scrive Bruxelles nella relazione sull’Italia, arrivata insieme a quelle sugli altri 27 stati membri. In particolare, la Commissione contesta al nostro Paese di essere indietro sia sulla depurazione, sia sulle infrastrutture: da una parte, infatti, circa 3.200 agglomerati urbani sono soggetti a procedimenti di infrazione perché non trattano correttamente le acque reflue, mentre la rete idrica mostra i segni di un invecchiamento a cui bisogna porre rimedio, con un’età media di 30 anni e tassi di perdita che al sud arrivano al 50%. Anche la qualità dell’aria in Italia “continua a destare preoccupazioni”, ci bacchetta Bruxelles, ricordandoci la conta dei morti per inquinamento atmosferico: “Per l’anno 2013 l’Agenzia europea dell’ambiente ha stimato che in Italia circa 66.630 morti premature fossero attribuibili alle concentrazioni di particolato fine, 3.380 alle concentrazioni di ozono e 21.040 alle concentrazioni di biossido di azoto”. E se per lo smaltimento dei rifiuti in discarica, che l’Europa punta a ridurre al minimo, l’Italia è ancora al 26%, le note dolenti arrivano anche quando si parla di gestione delle aree protette. I tecnici europei ricordano a Roma che va completata la designazione delle aree da proteggere come previsto dalle direttive europee e rincara la dose parlando di “degrado dei siti designati” e “scarsa protezione delle specie”.
Bruxelles chiama, Roma (non) risponde – L’esecutivo europeo fa all’Italia anche una lista degli immancabili compiti a casa: ricorda al governo che è tempo di approvare il Green Act, il provvedimento per agevolare l’economia verde che Matteo Renzi ha annunciato nel 2015 ma che non ha mai visto la luce, e accenna alla riforma della governance dei parchi naturali ferma al Senato tra mille criticità. E poi Bruxelles chiede all’Italia di impegnarsi per ridurre l’inquinamento atmosferico, soprattutto agendo sul fronte dei trasporti, e di investire di più sul corretto trattamento delle acque. Sul fronte dei rifiuti, la Commissione sollecita il nostro Paese a “estendere e migliorare l’efficienza sotto il profilo dei costi, il monitoraggio e la trasparenza” dei consorzi che in Italia gestiscono la raccolta e l’avvio al riciclo dei rifiuti. Sembra quasi una replica a Conai, il sistema consortile per gli imballaggi, che anche di fronte al Parlamento, di recente, non ha perso l’occasione per definirsi un “unicum in Europa” per “i dati forniti” e “la trasparenza sui flussi gestiti”. Contattati da ilfatto.it, dal ministero dell’Ambiente spiegano che “la discussione tra l’Italia e la Commissione è iniziata da tempo” e sono previsti anche incontri con “Regioni, Arpa, Ispra per entrare nel dettaglio delle singole questioni”, mentre stando alle ultime dichiarazioni del ministro Gian Luca Galletti, il tanto atteso Green Act sarebbe “già stato declinato in vari provvedimenti che abbiamo fatto in questi anni”.
Un’Europa debole – Il check up comunitario avvia di fatto una strada alternativa per evitare ai governi nazionali le fastidiose procedure di infrazione. “La Commissione, insieme agli stati membri, affronterà le cause alla radice delle carenze di attuazione e troverà soluzioni, prima che i problemi diventino urgenti”, spiegano da Bruxelles. Dopo l’invio delle singole relazioni alle istituzioni di ogni Paese si aprirà una discussione con le autorità politiche nazionali. L’esecutivo comunitario prova anche a incoraggiare la collaborazione e lo scambio di informazione tra i governi, poco abituati per la verità ad aiutarsi a vicenda. Se una revisione delle politiche ambientali è necessaria, c’è però anche il rischio di concedere altro tempo agli stati, in attesa di soluzioni promesse dai governi, ma che non arriveranno mai. In un risiko di competenze, pressioni e interessi in cui a rimetterci, alla fine, sono spesso i cittadini e la protezione dell’ambiente. Se infatti da una parte l’iniziativa della Commissione è il segno, spiega Mauro Albrizio di Legambiente, “che siamo ormai in una situazione in cui in Italia i problemi ambientali li risolviamo solo se ci sono le pressioni dell’Ue”, dall’altra anche Bruxelles è in una posizione di debolezza. “Le procedure di infrazione sono in realtà una pistola scarica, perché molto lunghe e con un impatto in diversi casi limitato sul piano economico”, prosegue Albrizio. Allo stesso tempo, aggiunge Monica Frassoni, “la Commissione non sempre fa buon uso di tutti gli strumenti che ha. Spesso il suo scopo è non litigare con gli stati: così propone obiettivi minimi per far sì che gli stati li rispettino oppure si dimostra molto paziente di fronte alle violazioni. In questo modo, però, abdica al suo ruolo di guardiana dei trattati”.