Nel pc e nel telefono di un 35enne albanese, molto attivo anche su Facebook, gli investigatori della Digos hanno trovato video e foto di azioni terroristiche. Oltre al ritiro del passaporto e al divieto di usare Internet all'uomo è stato consigliato di seguire un percorso di deradicalizzazione
Nel suo computer e nel suo smartphone conservava di tutto: foto che lo ritraggono armato di mitragliatore, video di attacchi e azioni terroristiche di Daesh, immagini di decapitazioni di prigionieri occidentali, videogiochi come Assassin’s Creed doppiati con voci che esaltano il jihad e accusano la Gran Bretagna di aver distrutto il primo Califfato, un’intervista al fondamentalista Anjem Choudary nella quale esorta i combattenti a conquistare Roma. Persino post pubblicati su Facebook in cui augura il ripetersi di attentati come quello al Bataclan di Parigi del 13 novembre 2015.
La Digos di Bari, che monitora tutta l’attività dei social network in tutta la provincia per spegnere i focolai di fanatismo religioso di natura islamica, lo teneva d’occhio da un anno e mezzo e, qualche giorno fa, ha deciso di intervenire perquisendo la sua abitazione e sequestrando tutto il materiale trovato. Ma la misura decisa dalla giustizia per il 35enne albanese, sposato e con figli, residente in provincia di Bari, cittadino italiano da un decennio, è stata unica nel suo genere. Ritirare il passaporto, sottoporlo a sorveglianza speciale continua per due anni, privarlo di Internet e del telefono sono misure necessarie ma non ritenute sufficienti. Per questo la terza sezione penale del Tribunale di Bari, su richiesta della Procura, ha pensato ad una misura ulteriore: frequentare un corso di religione islamica.
Una forma di riabilitazione, insomma, che va oltre ciò che impone la legge. “All’uomo – si legge – potrà essere d’ausilio, oltre l’astensione dalle attività di comunicazione telefoniche ed informatiche che possono formare oggetto di specifica inibizione, l’avvio di un percorso di studio dei valori della religione islamica che consenta di acquisire elementi di conoscenza che gli consentano di comprenderne gli insegnamenti senza confonderli con il fondamentalismo religioso e la propaganda islamista; si tratta di un processo di <de-radicalizzazione>”.
Quello del giudice non è stato un ordine perentorio, piuttosto un caloroso consiglio. L’uomo ha accettato, presto gli sarà affidata una “guida” nella comunità islamica pugliese che gli permetterà di studiare approfonditamente il Corano, chiarendo così le idee su religione e terrorismo. In Puglia, nel giro di due anni, sono diverse le persone fermate, perché collegate o attratte dal fondamentalismo islamico. Ecco perché la Procura e la Digos del capoluogo, d’intesa con la comunità islamica pugliese, renderanno questa prima esperienza, un percorso stabile da adottare nei confronti di chiunque dovesse mostrare un’attrazione sospetta e pericolosa verso quel mondo.