L’Italia non occupa il 77mo posto nelle graduatorie internazionali in materia di libertà di informazione per colpa di Grillo e Di Maio, anche se le loro recenti esternazioni in materia non possono essere giustificate in modo alcuno, perché hanno il sapore di cose già viste e sentite in altre e non felici stagioni. Proprio perché queste esternazioni non ci sono piaciute e le contrasteremo sempre e comunque, non possiamo neppure accettare la retorica di chi finge di non sapere le ragioni che condannano l’Italia nei rapporti internazionali.

Quella 77ma posizione discende dalla mancata risoluzione del conflitto di interessi che neppure la recente legge ha risolto, proprio perché si è guardata bene dall’affrontare il tema del rapporto tra politica e media e tanto meno quello degli editori che usano i media per conquistare appalti e cliniche private.

Nei rapporti internazionali si chiedeva all’Italia di rafforzare le normative antitrust e le garanzie a tutela del pluralismo editoriale. Nulla è accaduto, la legge Gasparri non è stata cambiata, anzi è stata utilizzata per respingere gli “odiati francesi” da Mediaset e per benedire la fusione “Stampubblica“, il tutto accompagnato dalla benedizione delle cosiddette autorità di garanzia delle comunicazioni, che non hanno ritenuto di spezzate neppure uno stuzzicadenti a favore del pluralismo editoriale e dell’autonomia dei corpi editoriali, vicende queste descritte con il rigore di sempre sul Fatto da Giovanni Valentini. Per non parlare dell’indifferenza che sembra circondare modi e tempi dell’annunciato trasferimento forzoso e forzato, da Roma a Milano, annunciato da Sky, un’azienda moderna che usa metodi antichi.

Quanto alla Rai non solo la legge non è stata cambiata, ma il proposito di Renzi di restituirla ai cittadini e di allontanare governo e partiti da viale Mazzini è stato tradito appena qualche secondo dopo l’annuncio.

Si aggiunga a questo quadro che la situazione italiana è stata ulteriormente aggravata dalle continue minacce contro i cronisti, dall’alto numero di quanti sono costretti ad una vita sotto scorta e sotto sorveglianza, dal dilagare del fenomeno delle cosiddette “querele temerarie” divenute un vero e proprio strumento di intimidazione e di aggressione contro chi cerca di indagare su mafie e malaffare.

In queste ore al Senato è ripreso l’iter della legge sulla diffamazione. Il testo attuale non funziona e nulla prevede proprio sulle “querele bavaglio”. Dal momento che, anche in queste ore, ciascuna forza politica ha rivendicato a sé la bandiera della libera informazione e il desiderio di far recuperare posizioni all’Italia nei rapporti internazionali, perché non ingaggiano una bella e pubblica sfida per cambiare quel testo introducendo finalmente l’obbligo per il “temerario” sconfitto di lasciare la metà di quanto aveva richiesto con l’unico obiettivo di intimidire il giornalista e di chiudergli la bocca?

Restiamo in attesa degli emendamenti per capire chi ha davvero a cuore i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione.

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