I lavoratori della formazione confluita nel Pd e quelli del Pdl salvi per altri 12 mesi: una modifica al Milleproroghe approvata a larga maggioranza in commissione Affari costituzionali scongiura lo stop dell'ammortizzatore. Ugo Sposetti, autore dell'emendamento: "Chi non svolge più attività politica sarebbe stato escluso. Ma un partito non è un'azienda che fa pentole e a un certo punto chiude"
I 15 dipendenti Ds non assorbiti dal Pd potranno beneficiare della cassa integrazione straordinaria per un altro anno. Così come quelli del defunto Pdl. Un emendamento al decreto Milleproroghe presentato dal senatore Pd ed ex tesoriere Ds Ugo Sposetti e approvato giovedì a larga maggioranza in commissione Affari costituzionali al Senato concede infatti un’altra boccata di ossigeno ai lavoratori dei “partiti zombie“. Di per sé, la possibilità per i dipendenti di formazioni e movimenti politici di beneficiare dell’ammortizzatore sociale non è una novità: è stata introdotta per la prima volta nel decreto sul finanziamento ai partiti diventato legge nel 2014. Non senza polemiche perché, per esempio, ai partiti (diversamente che alle imprese) non veniva richiesto alcun limite minimo di organico per poter chiedere l’attivazione della cigs. In compenso però c’erano precisi paletti temporali: in particolare le formazioni politiche che avessero presentato all’Inps un programma di crisi, “ivi compresa la cessazione totale o parziale di attività”, avrebbero potuto chiedere il trattamento per non più di 12 mesi.
Un tetto che secondo Sposetti, complice una interpretazione restrittiva della norma da parte di Inps e ministero del Lavoro, avrebbe “penalizzato ingiustamente i dipendenti dei partiti che non sono più attivi e di quelli che sono presenti in Parlamento ma hanno cambiato nome”. Lo scorso agosto il tesoriere della Quercia, intervistato da Repubblica, lamentava: “I 15 dipendenti Ds che non sono stati assorbiti dal Pd dopo un anno di cassa integrazione rischiano di restare senza reddito. Questa storia grida vendetta, soprattutto per un partito che si dice di sinistra”. Ecco allora la soluzione: a farsene carico saranno, ancora per un po’, le casse dello Stato. L’emendamento stabilisce, infatti, che l’assegno possa “essere ulteriormente concesso, alle medesime condizioni a suo tempo richieste”. Seppure “nel limite delle risorse disponibili”, cioè gli 11,25 milioni di euro l’anno (a decorrere dal 2016) stanziati dal decreto del 28 dicembre 2013, quello, appunto, che ha disposto la progressiva abolizione dei finanziamenti pubblici.
“Niente di strano”, sostiene Sposetti parlando con ilfattoquotidiano.it. “Il Jobs Act ha escluso il rinnovo della cigs per chi non svolge più attività politica, come se un partito fosse un’azienda che fa pentole e a un certo punto chiude: un’interpretazione forzata“, secondo colui che ha blindato il patrimonio immobiliare ereditato dal Pci in una sessantina di fondazioni-cassaforte. “Per questo già lo scorso anno il Parlamento aveva chiesto al governo Renzi di inserire nei decreti attuativi una norma ad hoc, ma per una svista non è stato fatto. Ora abbiamo rimediato. In termini economici questo non costerà più di 300mila euro e riguarderà al massimo una trentina di persone”.
La novità, in ogni caso, arriva proprio mentre si apprestano a entrare in cassa integrazione anche 12 dipendenti del Pd di Roma, per i quali è appena stata avviata una procedura di licenziamento collettivo. Tutto nasce dal fatto che il 2 per mille dell’Irpef con cui i contribuenti dal 2014 possono (solo se lo vogliono) finanziare una formazione politica a loro scelta sta fruttando incassi relativamente magri. Di certo non basta per riempire le casse che in precedenza potevano contare sui soldi pubblici. Così far quadrare i bilanci, per i partiti, diventa di anno in anno più complicato. E a pagare, finora, è stato il personale amministrativo.