Applausi a scena aperta per la requisitoria del pm Luca Poniz, vice presidente dell'Associazione nazionale magistrati, che ha portato in scena al teatro Carcano un format di successo ideato dalla multitasking Elisa Greco
Ero una giovanissima stagista al Corriere della Sera di New York e chiesi a Renzo Cianfanelli, allora capo dell’ufficio di corrispondenza americano, di farmi conoscere la Fallaci. Dalla faccia che fece fu come se gli avessi chiesto di portarmi sulla Luna. Al telefono ieri con Cianfa, in partenza per Craiova in Romania per la sommossa popolare anti-ladri del governo, mi fa: “Dopo l’attacco alle Torri Gemelle e la pubblicazione del famoso articolo che poi diventò il libro La Rabbia e l’Orgoglio, l’allora direttore De Bortoli mi chiese: “Fammi il favore, la Fallaci non parla con nessuno. Portale a casa la pila dei giornali italiani, così lei vede che tutti parlano di lei e magari ci scrive un altro pezzo”. Andai a casa sua sulla 61esima con la collega Elisabetta Rosaspina. Sai, una di quelle casette con buca delle lettere che danno direttamente sulla strada. Suoniamo, bussiamo. Nulla. ‘Forse non sente, prova ancora’, dice la fiduciosa Elisabetta. Ma io conoscevo la Fallaci. Prendo un biglietto del Corriere e scrivo, sillabando a voce alta: ‘Oriana, siamo noi. Complimenti e un abbraccio’. Poi, con difficoltà, infiliamo la mazzetta dei giornali nella feritoia dalla quale spuntano le dita di una mano. Fine. Rosaspina è stupefatta. Io meno. Le scenate della Fallaci, le feroci antipatie per chi osava smentire suoi racconti, erano leggendarie. Molti anni prima, il Cianfa fu mandato a Delhi per intervistare Indira Gandhi. L’attesa fu lunga. “Dopo la Fallaci avevo giurato di non dare più interviste agli italiani. Gli italiani sono dei bugiardi” esplose Indira con chiara allusione alla Fallaci. Poi chiese referenze all’italiana Sonia Màino in Gandhi e l’intervista sul Corriere usci. Altri tempi, rispetto all’epoca di Trump, maestro insuperato di fake news…”. Diciamo che Oriana rimane impeccabile nella scrittura, ma era una che “aggiustava” parecchio la realtà…”, conclude Cianfanelli. Ecco, Oriana che è stata allieva nientepopodimeno che di Curzio Malaparte, di Giorgio Fattori e di Tommaso Giglio, direttori storici de L’Europeo, non ha invece lasciato eredi. Nessuno che possa dire io sono stato il pupillo della Fallaci, io provengo dalla scuola di Oriana…Trovo che la generosità di un maestro si misuri anche dal numero di “allievi” che si lascia sulla sua scia.
Ho pienamente condiviso l’arringa che Luca Poniz, vice presidente dell’Associazione nazionale magistrati, ha portato in scena al teatro Carcano nell’ambito di Processo alla Storia, format di successo ideato dalla multitasking Elisa Greco. Mentre scoppiava Mani Pulite (e niente sarebbe stato più come prima) Poniz era un giovane laureato in giurisprudenza. Figlio dunque di quel cambiamento portato dal 1992. Restio al fascino dei personaggi famosi il magister Poniz ha rivolto la sua filippica a un pubblico attentissimo.
E non posso che riportarla fedelmente:
1) Odio o ragione? E’ il tema cruciale del processo di questa sera, imputata Oriana Fallaci. Ma è anche il tema cruciale di secoli di storia, di politica, di cultura. Lo sfondo di millenni, nel corso dei quali odio e ragione hanno duellato e duellano senza sosta. L’odio ha lungamente prevalso, e i drammatici ritorni della storia, oggi colorati delle tinte nere di una cronaca che dell’odio sembra il manifesto, ci inducono ancora di più a difendere con forza la ragione, il suo essere valore fondante di quella civiltà che taluno vorrebbe difendere, paradossalmente, con il suo opposto: l’odio, l’invettiva, la manichea divisione tra bene e male, tra popoli buoni e popoli inclini al male, persino tra religioni buone e religioni cattive. Può il pensiero, la sua manifestazione, l’idea, insomma, che si fa parola, essere reato e dunque meritevole di quella punizione terribile – la pena – che principi fondamentali di ogni paese liberale esigono che, normalmente, si infligga per un male ingiusto, per un’azione? Non saremo, in tal modo, e con queste accuse, noi sostenitori della sua condanna i primi forse inconsapevoli oscurantisti ?
Occorre muovere, io credo, dalla premessa della straordinaria forza del pensiero, delle idee, della cultura insomma: e chiedersi se esse, proprio per la loro forza, non possano avere la stessa importanza, e la stessa forza, delle azioni. Se, dunque, proprio per questa loro forza, possano o addirittura debbano avere limiti, e quali, e perché. Quale, insomma, il difficile equilibrio tra autorità e libertà. È il senso della responsabilità del pensiero; e la spiegazione del perché anche i sistemi più aperti e liberali ne contemplino limiti. E puniscano il pensiero che istiga, incita, diffonde idee tese a negare, a ben vedere, quella libertà che magari pretendono di difendere; che non criticano, ma disprezzano; che, con la violenza dell’espressione, la denigrazione aprioristica, la provocazione estrema, mentre teorizzano impossibili superiorità di idee, di filosofie, di convincimenti religiosi, generano le correlate teorie di altrui inferiorità. E’ il germe dell’odio, a ben vedere: e da quel germe la storia insegna che possono originare tragedie, perché l’odio ha una formidabile forza contaminatrice. E la responsabilità del pensiero è tanto più accentuata in chi, come Oriana Fallaci, ha esercitato e ha preteso di esercitare un magistero intellettuale, con la formidabile forza che lo accompagna: perché pretende di essere guida, esempio, autorità morale ed intellettuale, appunto. Il metodo, dunque. E poi, i contenuti.
2) Mi affido alle straordinarie parole di Tiziano Terzani: “Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto, Oriana. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza. L’orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere”. “Brillante lezione di intolleranza”, dunque. Ma non è, questa, l’antitesi dell’intellettuale, e certamente del giornalista? La “più grande giornalista” è una giornalista che si trasforma in sacerdotessa della verità, che annuncia non i fatti ma le sue idee (che per la sua pretesa autorità diventerebbero fatti…) in forma di ineluttabile profezia, e addirittura odia dichiaratamente chi coltiva il dubbio, relegando i suoi cultori alla categoria nemici, anche con disprezzo, scherno, irrisione. Ma dubitare non era la funzione essenziale del pensiero, e il dubbio il fondo della nostra cultura? Ecco perché nelle imputazioni che abbiamo contestato abbiamo inserito, cogliendo fior da fiore delle plurime invettive nel tempo scagliate, frasi per così dire “manifesto”: “se ho il diritto di amare chi voglio, ho anche il diritto di odiare chi voglio, incominciando da coloro che odiano me. Odio gli Ward Churchill, i Noam Chomsky, i Louis Farrakhan, i Michael Moore, i complici, i collaborazionisti, i traditori che ci vendono al nemico”. Si teorizza un solo pensiero, se ne postula l’ineluttabilità, e l’indiscutibilità; non si ammettono idee diverse. E chi le coltiva scende di diritto nella categoria del nemico, tradisce la sola verità che si ammette. Questo è il vero colpo alla nostra civiltà: più devastante e doloroso delle bombe dei nemici dichiarati, perché produce, al suo interno, e per mano di chi crede di difendersi, la crepa più profonda di secoli di pensiero e di libertà. La “più grande giornalista” tradisce dunque a ben vedere il suo mestiere, e mina dalle fondamenta l’essenza del pensiero che fonda la civiltà in nome della cui difesa semina parole di odio, di scherno, di rozza intolleranza. Immagina calci e sputi ai nemici, ma anche bombe nelle moschee.
3) La frase contenuta nelle imputazioni – anch’essa una tra le molte – “’l’Islam è il Corano cari miei ; comunque e dovunque . E il Corano e’ incompatibile con la Libertà , e’ incompatibile con la Democrazia , e’ incompatibile con i diritti umani . È’ incompatibile con il concetto di civiltà ‘”, pretende di identificare e far coincidere un testo sacro con la “civiltà” che si pretende vi si correli, o meglio, con “l’inciviltà” che anzi la caratterizza: ma commette, in poche righe, plurimi e tragici errori di lettura storica, politica, culturale.
Oriana Fallaci non è dunque colpevole di pensare e di dire; è colpevole di dire parole che annichiliscono il pensiero, e hanno la straordinaria attitudine a condizionare, in direzioni estremamente pericolose, quello altrui… e chiedo che Oriana scriva, nella prima pagina del Corriere della Sera, un articolo, ripetendo mille volte la frase di Albert Einstein “Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto”.
Applausi a scena aperta per la requisitoria del pm Luca Poniz.
Si cambia scena: Roma, Teatro Parioli, 15 marzo. Stessa imputata. Cambiano gli atti d’accusa.
Ecco la prima puntata sul Processo alla Storia: Oriana Fallaci, colpevole o innocente? E Massimo Fini ricorda quando Panagulis le mollò un ceffone per contenerla.