Festival di Sanremo 2017

Sanremo 2017, al Festival di Maria vincono le storie e non le canzoni. Basta guardare il ‘podio cover’ con Meta, Turci e Masini

Questo Festival 2017 è tornato alle storie, e non poteva essere altrimenti, visto che Conti ha voluto fortemente proprio la migliore narratrice (paradossalmente silenziosa) della vita quotidiana (nel bene o nel male) degli italiani

di Domenico Naso

I vecchi Festival di Sanremo, quelli delle origini e in realtà fino all’arrivo di Fabio Fazio nel 1999, erano freddi, secchi e lineari: interprete, titolo della canzone, autori e direttore d’orchestra. Punto. Niente fronzoli, niente comici (almeno fino agli anni Ottanta), niente “Tutti cantano Sanremo”, levatrici, famiglie numerose, vigili del fuoco. Poi sono arrivate le storie, un fil rouge narrativo, in alcuni casi persino un concept Festival. Sono stati soprattutto Fazio e Bonolis gli artefici della svolta, che in fondo è la svolta della televisione in generale, sempre più indirizzata verso i people show, i docureality (da quelli sociali a quelli trash) alla Real Time o Stato Civile e format simili.

Ma la regina della narrazione delle storie di ogni giorno è Maria De Filippi. Nessun dubbio in merito e lo riconoscono anche i suoi detrattori. Con C’è posta per te racconta uno spaccato (a volte anche inquietante) delle famiglie italiane, di alcuni strati socio-culturali ben precisi, e lo fa a modo suo: racconta per sottrazione, si defila, riempie le pause di silenzi. Con Uomini & Donne, invece, mette al centro gli amorazzi veri o presunti di giovani belli e rampanti che vogliono palesemente apparire, magari conquistare qualche ospitata in discoteca o, se va proprio bene, un posticino sull’Isola dei Famosi o al Grande Fratello Vip. Molti dei giovani di Uomini & Donne non fanno fare una bella figura alle nuove generazioni italiane. La De Filippi lo sa, ma non per questo evita di raccontare. Anzi: a Uomini e Donne i protagonisti si raccontano da soli. La De Filippi interviene pochissimo. C’è Tina, più adatta al clima della trasmissione, a fungere da pungolo e da domatrice di bestie televisive.

E questo Festival 2017 è tornato alle storie, e non poteva essere altrimenti, visto che Conti ha voluto fortemente proprio la migliore narratrice (paradossalmente silenziosa) della vita quotidiana (nel bene o nel male) degli italiani. Gli autori di questo Festival non stanno brillando particolarmente. Manca sempre il guizzo, lo spunto divertente, il siparietto tra i conduttori. Ma quello che è stato costruito in maniera efficace (anche se spesso stucchevole) è proprio il momento della serata in cui arrivano i protagonisti di storie ordinarie o straordinarie. Lì la De Filippi sveste i panni scomodi di “annunciatrice di canzoni” (che non è e non potrà mai essere il suo ruolo) e si muove agevolmente nel suo terreno naturale. Ma è solo l’effetto Maria? Chissà, fatto sta che gli effetti si sono visti anche sulla gara, soprattutto sui singoli cantanti. Riflettiamo un attimo sui primi tre posti della classifica della serata cover: Ermal Meta, Paola Turci e Marco Masini.

Ermal Meta è protagonista di una storia di vita già sin troppo raccontata (date tregua a questo ragazzo sull’Albania. Ha così tanto talento che non potete ogni volta costringerlo a parlare solo di quello): l’infanzia difficile (raccontata nel pezzo in gara), l’arrivo in Italia, le difficoltà di qualsiasi emigrato, l’impegno, l’esplosione professionale prima come autore e poi come cantautore. Un classico canovaccio che sa di riscatto e che innesca una reazione empatica nel pubblico.

Paola Turci è un’artista molto amata da critici e giornalisti, con una carriera trentennale. E il plot twist della sua vicenda personale è datato 15 agosto 1993. Durante il tour estivo, la Turci rimane vittima di un incidente stradale sulla Salerno-Reggio Calabria. Non un tamponamento a catena, ma un impatto terribile che le ha provocato ferite gravi e l’ha costretta una interminabile serie di interventi chirurgici per salvare l’occhio. Si è rialzata lottando e oggi all’Ariston canta di bellezza con le cicatrici, quelle stesse cicatrici che sono lì, sul suo vento, a ricordarle quel giorno d’agosto.

La parabola di Marco Masini è altrettanto significativa. Prima la gioventù “ribelle”, poi il successo sanremese, i dischi stravenduti, l’apice di una carriera, agli inizi degli anni Novanta, che sembrava inarrestabile. E poi le voci odiose sul fatto che portasse sfortuna. Roba da Medioevo, eppure assai diffusa nell’ambiente dello spettacolo. Viene ostracizzato per colpa di superstizioni ignoranti (che in passato hanno distrutto la vita ad altri artisti), sparisce dalla scena, torna in sella solo grazie al fatto che nel 2004 il Festival di Sanremo viene boicottato dalle major. Vince e riparte, ricostruisce pezzo per pezzo una carriera interrotta bruscamente e adesso riceve gli applausi più convinti e scroscianti della platea dell’Ariston.

Le storie, in questo caso personali e reali, dunque, fagocitano il brano e tutto il resto. Effetto Maria o semplicemente riflesso delle necessità del cosiddetto “paese reale”? C’è bisogno di umanità in tempi di instabilità e paura?

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