L'ex presidente del Senato imputato nel processo per falsa testimonianza, sceglie di non farsi interrogare dai pm. "Non presto il consenso all’interrogatorio" dice rispondendo a una domanda del presidente del collegio Alfredo Montalto
Ventidue pagine per dire ai giudici che con la Trattativa non c’entra, che dall’ex ministro Claudio Martelli sono arrivate “dichiarazioni a rate” e che solo l’ex pm Antonio Ingroia poteva credere a Massimo Ciancimino. Nicola Mancino, ex presidente del Senato imputato nel processo sulla Trattativa Stato-mafia per falsa testimonianza, sceglie di non farsi interrogare dai pm. “Non presto il consenso all’interrogatorio” dice rispondendo a una domanda del presidente del collegio Alfredo Montalto.
“Martelli dichiarazioni a rate, non mi parlò del Ros”
Mancino è accusato di aver mentito nel corso di due confronti in aula davanti ai giudici che processavano per favoreggiamento l’ex capo del Ros Mario Mori, ora suo coimputato al dibattimento trattativa. In particolare a Mancino si contestano le discrepanze tra le sue dichiarazioni e quelle degli ex ministri Claudio Martelli e Vincenzo Scotti a proposito della condotta del Ros dopo le stragi del ’92, dei contatti dei carabinieri con l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e della ricostruzione dei motivi che portarono alla sua nomina alla guida del Viminale al posto di Scotti.
Martelli, nel 1992 ministro della Giustizia, disse ai giudici di essersi lamentato con Mancino di irregolarità nelle condotte del Ros e di avergli detto che i carabinieri avevano avviato colloqui e incontri con Ciancimino. Mancino ha sempre negato di aver mai parlato delle due circostanze con Martelli. “Quel giorno della mia visita di cortesia, Martelli non mi parlò dei comportamenti del Ros – dichiara Mancino – perché parlarne a me, se lui ministro della Giustizia, poteva rivolgersi direttamente al Comandante generale dei Carabinieri o al Procuratore competente per territorio?”. E ribadisce con forza che “a me, di Vito Ciancimino interlocutore del Ros nessuno, dico nessuno, mi ha mai parlato. Se dichiaro ‘nessuno’ includo ovviamente anche l’onorevole Martelli”.
Rispetto alle dichiarazioni di Scotti la divergenza riguarderebbe la ricostruzione della vicenda politica che portò i due ad avvicendarsi alla guida del Viminale. Secondo i pm Mancino sarebbe stato messo all’Interno al posto di Scotti in quanto più morbido verso la mafia. Versione sempre smentita dall’imputato che anche oggi ha ribadito di aver sempre sostenuto la lotta alla mafia con provvedimenti concreti, come quello sul carcere duro. “Dopo il mio insediamento al Viminale ho dovuto fare i conti con una mafia che ha fatto strage in Via D’Amelio di un grande servitore dello Stato insieme agli uomini della sua scorta. L’attacco della mafia – prosegue – aveva assunto forme violente ed inusitate: stragi ravvicinate, un crescendo di delitti freddamente preordinati, una sfida aperta ai poteri dello Stato”.
“Ciancimino inattendibile”
“Massimo Ciancimino è inattendibile. Lo dicono anche diverse Procure. E davanti alla commissione Antimafia l’ha detto anche l’ex procuratore di Palermo Francesco Messineo” dichiara Mancino. “Solo l’avvocato Ingroia, quando era ancora magistrato (pm del processo Trattativa ndr) potè temerariamente sostenere che la sua attendibilità sarà dalla Procura valutata di volta involta. Non sfuggirà alla Corte che Carlo Franco è talvolta il dottor De Gennaro e per ultimo il dottor Zampetti. Mi limito solo a fare presente che Massimo Ciancimino ha dichiarato più volte ai pm che il padre Vito gli aveva confidato che della trattativa Mancino era a conoscenza. E mente, come in tante occasioni che gli hanno procurato arresti, processi per calunnia e altro”. E ricorda: “Mi limito a osservare che nei confronti di questo figlio di don Vito inviai alla Procura di Palermo una denuncia querela per il reato di calunnia e falsa testimonianza. Silenzio dagli uffici!”. Mancino parla anche dell’incontro con il giudice Borsellino: “Sull’incontro con il giudice Paolo Borsellino, che non conoscevo fisicamente ma che in tante mie dichiarazioni non ho mai escluso di avergli potuto stringere la mano, come avevo fatto e stavo facendo nel pomeriggio del primo luglio 1992 con tante personalità convenute a Viminale per gli auguri di rito, si sono dette, diffuse e scritte maliziose e subdole insinuazioni. ‘Possibile che non lo conoscesse, che non ricordasse: è reticente, chissà che nasconde’”. “Dal telefono interno degli uffici del Dipartimento di pubblica sicurezza mi chiamò il Prefetto Parisi per chiedermi se, trovandosi al Viminale, potevano venirmi a fare gli auguri i giudici Borsellino e Aliquò. Naturalmente risposi affermativamente”.
“Trattativa teorema fondato su assoluta assenza di prove”
“In mancanza di certezze probatorie è stato alimentato un teorema fondato sull’assoluta assenza di prove” aggiunge Mancino. “Del resto il gup Morosini ha ravvisato la necessità di una integrazione probatoria: e però, senza esplicitare alcuna valutazione sull’attendibilità delle testimonianze acquisite, sono stato rinviato a giudizio”. E spiega che “l’originale del ‘papello’ manoscritto da Riina, impresentabile, non è mai stato rinvenuto nell’originale così come il contropapello, riscritto da Vito Ciancimino, sempre esibito in fotocopia, con tra destinatari: Mancino, che non ancora aveva preso possesso dell’incarico di ministro e Rognoni che ministro non era più – dice Mancino – Resta il guardasigilli, con nome sbiadito. Brusca al pm Chelazzi, riferendosi a Vito Ciancimino, ha parlato di millantato credito. Anche io, con un esposto, ho sostenuto trattarsi di millantato credito e di calunnia a mio danno”. Aggiunge poi: “A Riina qualcuno avrà pure fatto il mio nome”. E conclude: “Oggi, confermando la mia assoluta estraneità ai fatti, resto fiducioso avanti a voi chiamati a giudicarmi”.