Ancor prima dell’insediamento alla Casa Bianca, una sua telefonata con Taiwan aveva rischiato di mettere in crisi i rapporti diplomatici con Pechino. Allora aveva sostenuto di non prendere ordini da Pechino e di non sentirsi vincolato alla politica di “una sola Cina” fino a quando non ci fossero state concessioni commerciali. Ma ora Donald Trump fa retromarcia e accetta di onorare la tradizionale linea politica americana, su richiesta del presidente Xi Jinping, con cui ha avuto una telefonata “lunga ed estremamente cordiale”.
Trump e Xi Jinping si sono invitati reciprocamente nei rispettivi Paesi nella telefonata che hanno avuto stasera, rompendo un lungo gelo. “I due leader hanno discusso numerosi argomenti e il presidente Trump, su richiesta del presidente Xi, ha concordato di onorare la nostra politica di ‘una sola Cina”, riferisce la Casa Bianca in una nota. I due leader “si impegneranno in discussioni e negoziazioni su varie questioni di reciproco interesse”. La telefonata è stata “estremamente cordiale” e i due presidenti hanno espresso “i migliori auguri al popolo dell’altro Paese“.
Dopo settimane di tensione sull’asse Washington-Pechino, seguite alle dichiarazioni di Trump che sembravano mettere in dubbio quel principio ed al colloquio telefonico avuto con la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, sembra dunque aprirsi un nuovo capitolo. Ieri la Casa Bianca aveva dato notizia di una lettera inviata da Trump a Xi, nella quale il presidente americano auspicava una “collaborazione costruttiva” tra Washington e Pechino e ringraziava il presidente cinese per la nota di congratulazioni ricevuta in occasione del suo insediamento, augurando al popolo cinese una “felice Festa delle Lanterne e un prospero Anno del Gallo“.
Le tensioni tra Stati Uniti e Cina avevano raggiunto nelle settimane scorse livelli altissimi. Ad accendere la miccia era stata la telefonata fatta dalla presidente di Taiwan a Trump per congratularsi per la sua vittoria alle elezioni: negli ultimi 40 anni mai nessun presidente americano aveva avuto contatti formali con i leader dell’isola che Pechino considera una ‘provincia ribelle’ e con cui Washington non ha rapporti diplomatici.