È un libro piccino, ma è un vero e proprio condensato di passione e di storia politica e umana: si intitola Io in te cerco la vita – sottotitolo Lettere di una donna innamorata della libertà. È curato da Elena Vozzi ed è pubblicato da L’orma. Raccoglie le lettere scritte da Anna Kuliscioff, in gran parte ad Andrea Costa e a Filippo Turati, tra il 1880 e il 1924.
Anna Kuliscioff è stata una delle figure più importanti del nascente socialismo europeo. Cosmopolita, dotata di una straordinaria lungimiranza, fu tra le prime, alla fine dell’Ottocento, a imporre nel dibattito culturale questioni cruciali come l’emancipazione delle donne attraverso l’acquisizione dei diritti politici e sociali. Sua fu l’intuizione che il riscatto femminile potesse avvenire solamente all’interno di un più vasto riconoscimento dei diritti di coloro che appartenevano agli strati più bassi della società.
Nata a Moskaja, in Crimea, nella casa di un ricco commerciante ebreo, Kuliscioff abbandonò la Russia da giovanissima per studiare filosofia all’università di Zurigo. Approdò in Italia nel 1878, dopo essere stata prima processata in Russia per aver partecipato alla cosiddetta “andata verso il popolo”, ossia il lavoro – ispirato alle idee di Bakunin – svolto a fianco dei contadini, e poi espulsa dalla Francia insieme ad Andrea Costa. L’incontro con quest’ultimo portò alla nascita di un profondo quanto breve sodalizio politico e sentimentale (i due nel 1881 ebbero una figlia, Andreina). Nel frattempo, Kuliscioff aveva intrapreso studi di medicina tra Pavia, Torino e Padova, i quali la portarono, tra l’altro, a esercitare la professione medica nei sobborghi di Milano, facendole guadagnare l’appellativo di “dottora dei poveri”.
Il lavoro sul campo fu fondamentale per l’elaborazione delle sue teorie politiche. Teorie che le consentirono di far parte del gruppo che, nel 1892, nella sala Sivori di Genova, fondò il Partito dei Lavoratori Italiani (quello che tre anni più tardi assumerà la definitiva denominazione di Partito Socialista Italiano), tra i quali figurava Filippo Turati, con cui Anna Kuliscioff si era legata sentimentalmente dal 1885. Anna e Filippo nel ’91 si trasferirono in un appartamento con vista sulle guglie del Duomo di Milano. Qui stabilirono la redazione di Critica sociale, la rivista del socialismo riformista italiano di cui furono condirettori. L’appartamento divenne presto il salotto in cui si incontravano gli esponenti più in vista della cultura e della politica milanese del tempo.
Anna Kuliscioff visse in un momento storico cruciale in cui fermentavano le idee del marxismo e in cui lentamente prendevano forma gli spettri che avrebbero ottenebrato l’orizzonte nella prima metà del Novecento. Il suo è un carteggio che si legge come un romanzo epistolare, tale è la forza evocativa di sentimenti e situazioni storiche, nonché la padronanza della lingua italiana attraverso cui esprime concetti e sensazioni con frasi come: “La vita senza te è per me una vegetazione continua” (dalla lettera ad Andrea Costa del 18 novembre 1880). Attraverso queste lettere assistiamo a un’emersione di modernità a tratti sorprendente, considerato il periodo storico in cui si collocano, che fanno di Anna Kuliscioff uno dei pensatori più lucidi, intraprendenti e avveduti della sua epoca. Modernità poi che non è solo di pensiero, ma di gesto, se non, usando il lessico contemporaneo, di stile, inteso come stile di vita. “Non credi tu ch’io abbia ragione di sentirmi un po’ offesa del fatto che tu consideri come dovere di non separarti mai da me”, scrive sempre ad Andrea Costa, rimproverandolo di una sorta di benevolo paternalismo maschilista, “perché se la mamma prima pensava a me, ora lo devi tu”. Il progressivo distacco sentimentale da Costa diventa poi l’occasione per scandagliare il crepuscolo di un rapporto di coppia con tratti di bruciante realismo: “Tu cerchi in me il riposo, io in te la vita. Io sono per te poco donna, tu per me sei un’astrazione. Io non ho la maternità. Tu non mi dai l’umano del contatto fra i sessi diversi”.
Come in un romanzo, poiché nella progressione delle lettere, tra le righe, si avverte una lenta ma continua maturazione. La scandalosa rivoluzionaria, l’infaticabile agitatrice, si tramuta via via in un’analista più acuta e precisa, una donna maggiormente padrona di se stessa e dei propri affetti. Il 22 ottobre del 1898 scrive alla figlia: “Ricordati, Ninina, prima di adirarti contro uomini e contro cose, di dare uno sguardo nel profondo dell’animo tuo, e vi troverai spesso molte attenuanti che volgeranno l’ira a pietà o compassione”. Della stessa figlia renderà conto in una delle più belle lettere di questa raccolta, quella ad Andrea Costa del 27 marzo 1904, in cui ragiona sulle scelte di vita della giovane Andreina: “È una gran malinconia di dover convincersi che noi non siamo i nostri figli, e che essi vogliono far la loro vita […]. La malinconia non proviene da quel piccolo incidente di matrimonio religioso, ma dal fatto che la nostra figlia non ha né l’animo ribelle, né il temperamento di combattività”.
C’è poi la restituzione di quel clima di lento scivolamento verso il dirupo che si intuisce nel lungo epistolario che scandisce il rapporto più che trentennale con Filippo Turati. I diversi punti di vista dei due sul primo conflitto mondiale – fieramente neutralista lui, possibilista lei riguardo all’ipotesi di un intervento in guerra dell’Italia. L’entusiasmo iniziale per la rivoluzione russa di cui coglie le somiglianze con quella francese. Lo sconforto per la presa del potere da parte di Mussolini; scrive a Turati il 17 novembre 1922: “Oggi chiederei a te una parola di conforto, tanto sono piena di disgusto, avvilita e quasi sgomenta dello spettro di rovine che si prospetta nell’avvenire”. Uno spettro di rovine che nel 1925 non mancherà di funestare perfino il suo funerale, quando a Milano gli squadristi si scaglieranno contro le carrozze del corteo, devastandone gli addobbi funebri.