di Andrea Maria Scaparro
L’innalzamento del livello del mare modificherà la morfologia delle coste italiane nel corso dei prossimi 80 anni. Un recente studio prevede che fino a 5500 chilometri quadrati di pianure costiere potrebbero finire sott’acqua, rivelando un’Italia di fine secolo molto diversa da quella che conosciamo.
Il livello medio del mare è cresciuto di circa 15 cm dal diciottesimo secolo ad oggi e la maggior parte di questo cambiamento si è registrato a partire dalla metà del ventesimo secolo. Il recente report sui cambiamenti climatici globali ha messo in luce i rischi indotti dall’innalzamento del livello del mare su scala mondiale. Anche limitando in modo sensibile le emissioni di gas responsabili del riscaldamento globale si prevede un incremento del livello marino di 0.5 m nel corso del ventunesimo secolo, che potrebbe salire a un metro o più se nessuna azione drastica sarà intrapresa dai governi. Oltre un miliardo di persone che vivono vicino alle coste sarebbero costrette ad abbandonare la propria casa divenendo a tutti gli effetti migranti climatici.
Si stima che in Europa siano circa 86 milioni le persone che vivono entro 10 km dalla costa. In Italia, così come nel resto della fascia mediterranea, il 70% della popolazione vive nella zona costiera, dove la rapida urbanizzazione iniziata negli anni ‘60 ha comportato un’espansione incontrollata delle zone edificate. Le coste italiane ospitano inoltre importanti stabilimenti industriali e sono l’epicentro di fiorenti attività turistiche. Tutte queste attività saranno sempre più minacciate dall’erosione delle coste e dal rischio di inondazioni. Le comunità costiere sembrano invece inconsapevoli e dunque impreparate di fronte ad un rischio che è alle porte e che sicuramente cambierà il paesaggio, la vita e le abitudini delle prossime generazioni. Nel frattempo si continuano a costruire infrastrutture destinate a finire sott’acqua nel giro di 80 anni.
Invece è necessario agire e, a partire da oggi, correre ai ripari di una situazione in rapida evoluzione. Questo è il messaggio del recentissimo lavoro pubblicato da Fabrizio Antonioli (direttore di ricerca al Laboratorio Modellistica Climatica e Impatti dell’Enea) e collaboratori sulla rivista Quaternary Science Reviews e rilanciato a Gennaio da National Geographic Italia.
In Italia l’innalzamento del livello del mare previsto è diverso di zona in zona. “Alcune aree sono già oggi prossime o al di sotto del livello del mare e la costa si abbassa, si alza o si sposta per vari motivi”, spiega a National Geographic Italia Fabrizio Antonioli. Per questo motivo lo studio si è concentrato su quattro aree della penisola italiana particolarmente sensibili agli effetti dell’innalzamento relativo del livello del mare: il Nord Adriatico, il golfo di Taranto, il golfo di Oristano e quello di Cagliari. L’analisi ha preso in considerazione le più recenti proiezioni dell’aumento del livello del mare, compreso tra un minimo di 53 cm e un massimo di 97 cm, includendo anche gli effetti dovuti ai cambiamenti geologici e geomorfologici. Combinando questi dati sono stati stimati i limiti minimi e massimi del livello del mare attesi per l’anno 2100.
Ne è risultato che l’innalzamento massimo calcolato per l’anno 2100 è di circa 101 cm sopra l’attuale livello del mare per il Nord Adriatico, 96 cm per il golfo di Cagliari, 95 cm per Oristano e 92 cm per il Golfo di Taranto. Tra le diverse aree studiate, quella del Nord Adriatico appare come la più incline a subire gli effetti delle inondazioni marine. Poco al di sotto di Venezia, la linea di costa retrocederebbe di 30 chilometri. L’area tra Trieste e Venezia è tra quelle più vulnerabili: “A Venezia ci sono abbassamenti tettonici che arrivano quasi a raddoppiare l’effetto dello scioglimento dei ghiacci”, spiega Antonioli. “La costa è piatta e non ci sono dune a fare da riparo naturale all’ingressione marina. Ci sono poi zone di totale antropizzazione, anch’esse prive di difese di fronte al mare che sale”.
Una vasta porzione delle aree soggette ad allagamenti si trova già oggi al di sotto del livello medio del mare e il drenaggio è garantito da un complesso sistema di stazioni di pompaggio dell’acqua sommerse, distribuite lungo tutta l’area costiera e lagunare e in grado di muovere oltre due milioni di litri d’acqua al secondo. A causa della bassa conformazione costiera, come ricordato, sarà necessario poi migliorare l’efficienza delle dighe da cui dipenderà quasi esclusivamente la salvaguardia delle coste. Qualora non venisse attuata alcuna misura di rinforzo, nel vicino futuro, le città di Aquileia Adria, Ravenna e Rovigo saranno a rischio inondazione mentre la linea costiera potrebbe arrivare a meno di 10 km da Ferrara. In Sardegna lo scenario peggiore riguarda Oristano, dove l’innalzamento relativo del mare in combinazione con gli insediamenti urbani costieri, la scarsità di sedimenti fluviali riversati in mare e di argini in grado di contrastare l’innalzamento del mare, faranno sì che molte delle aree che attualmente si trovano 1 metro al di sopra del livello del mare saranno parzialmente allagate, a meno che non si costruiscano sistemi di drenaggio opportuni.
L’indicazione ottenuta da questo studio è eloquente. Anche se dovesse essere raggiunto l’obiettivo di ridurre significativamente le emissioni, come previsto dalla conferenza di Parigi del 2015, il livello dovrebbe ugualmente salire a un tasso lievemente più basso, tra i 28 e i 60 centimetri. Anche nello scenario più ottimistico dunque, l’incremento del livello del mare supererà il mezzo metro e avrà un serio impatto sulle coste. Con l’aggiuntiva incertezza di come risponderanno i diversi sistemi costieri al cambiamento climatico, in termini di produzione e accumulo di materiale sedimentario, potenzialmente aumentando l’intensità degli effetti sulle coste.
L’accordo di Parigi, avendo come obiettivo quello di eliminare gradualmente le emissioni di gas a effetto serra, ha rappresentato una vera e propria svolta avvenuta dopo oltre due decenni di negoziati. Allo stesso tempo la scienza ci sta avvisando che molte dinamiche sono oramai inarrestabili e che, per alcune di esse, siamo arrivati al punto di non ritorno. In questi casi sarà necessario adattarsi ai cambiamenti favorendo un atteggiamento resiliente guidato dalle proiezioni scientifiche. Come nel caso dello studio di Antonioli. Lo stesso ricercatore afferma che la speranza più grande è che con questo ultimo lavoro passi finalmente il messaggio, perché è a questo che serve fare studi di previsione: “Perlomeno si scelga di non costruire ferrovie o strade in zone che nel giro di qualche decennio non saranno più così come le vediamo ora”.