Società

Quando uscii per la prima volta a bordo della sedia elettrica

La precedente puntata di questa mirabolante rubrica si è conclusa con questo quesito: è forse riuscito il nostro “eroe” (che impropriamente sarei io) nell’impresa di affievolire l’ansia made in Mammut?

L’argomento in questione, come si evince, è l’ansia che la francesina – conosciuta nell’ambiente della sofferenza come distrofia di Duchenne – è in grado di produrre in una genitrice, che per quantità è la diretta concorrente del petrolio. La mia scarsa esperienza da piccolo francesino in erba, infatti, mi fece credere che bastava fare il discolo a scuola per ridurre in poltiglia le angosce materne: mi sbagliavo.

Arrivò così la prova su strada: il giorno in cui da quattordicenne, dopo una lunga battaglia tra le quattro mura, decisi di uscire per la prima volta da solo a bordo della sedia elettrica. Contro ogni previsione Mammut non sembrava preoccupata, lo ero di più io: sarei riuscito in questa facile impresa? Perché nulla è mai banale con la francesina. Avrei dovuto cavarmela in quella savana che c’è là fuori; affrontare gli sguardi colmi di pietà normodotata: «Ma guarda quello, povero!», che poi non capisco come facciano a conoscere la mia dichiarazione dei redditi; misurarmi con la scarsa accessibilità della flora cittadina, che mi avrebbe costretto alla strada (non come prostituta, s’intende) e a fare i conti con l’insicurezza atavica di un distrofico adolescente.

Mentre prendevo confidenza nei miei mezzi e nel mio mezzo, Mammut a casa realizzò: figlio, disabile, solo, fuori, strada, io mamma, mai più. Ansia, ansia, ansia: ebbene sì, si rigenera. E io che credevo di averla fatta franca…

L’ansia ruppe appunto gli argini in prossimità dell’uscita successiva, uscita paragonabile alla partenza di un figlio per il fronte. Mi sono così figurato il buon Hemingway quando comunicò alla madre di voler prendere parte alla prima guerra mondiale: «Mi raccomando porta vestiti pesanti, non si sa mai». Invece la mia: «Da solo con la carrozzina tu non ci vai!», «Ma come faccio senza carrozzina?», replicai simpaticamente. «Se si mette a piovere cosa fai?», per la cronaca la nuvola più vicina era stata avvistata in quel di Helsinki. «Se hai bisogno di aiuto?», «Chiederò e mi sarà dato». «E se ti vedono da solo?», «Questo è ciò che succede quando si esce soli». «A quest’ora trovi traffico?», allora mi immaginai un imbottigliamento di carrozzine e di vigili intenti a districare esemplari di disabile. La battaglia proseguii a colpi di protezione materna e voglia di libertà filiale: le ostilità si conclusero fortunatamente in mio favore, del resto era dai tempi delle medie che lavoravo incessantemente a questo scopo.

Mentre la genitrice era a casa in lutto, il prode figliolo con ardimento e spirito patriottico varcò la soglia casalinga per combattere con la sola sedia elettrica l’infido nemico e liberarsi dalla schiavitù materna. In nome del popolo disabile, il baldo giovine raggiunse caparbio e fiero il centro cittadino, dove impavido affrontò coraggiosamente le barricate nemiche poste all’ingresso di svariati negozi. Lasciato in trionfo il centro – al motto di “boia chi molla” – attraversò solitario le linee nemiche per raggiungere l’obiettivo: il parco cittadino (si ringrazia l’Istituto Luce per l’ispirazione).

Questo per Mammut era il posto peggiore in cui un figlio disabile potesse mettere ruota, al contrario il figlio in questione considera il parco di Monza nient’altro che un apostrofo verde tra le parole cemento e inquinamento, di cui la Brianza è portabandiera.

Nel luogo imputato non potevo recarmi, prima per motivazioni di carattere sociale e in linea con gli sbarchi di allora: «È pieno di albanesi», mai incontrato uno; la motivazione poi passò a: «Se viene una folata di vento e ti cade un albero in testa?», in quanto a circostanze rare credo di aver già dato (vero francesina?); passando dalla più benaugurante: «Se ti si blocca la carrozzina?»; fino alla più recente: «Non andare, è pieno di zanzare».

Quest’ultima opera dissuasoria è il termometro di quanto l’ansia sia diminuita con il tempo: vent’anni di duro lavoro, che manco in miniera, e lei – l’ansia made in Mammut – è solo calata di livello. Ditemi cosa dovrei fare per estinguerla: buttarmi con il paracadute o recarmi nello spazio con il collega di sofferenza Stephen Hawking? Nel frattempo questa puntata è stata realizzata al fine di perorare la causa: «Cosa hai scritto su di me?», mi chiede alquanto preoccupata Mammut. E io: «Non vi fidate di me Reverenda Madre?», ihihih…