4° GIORNO – Oh mama, I wanna go surfing
Dopo tre giorni trascorsi nella foresta tropicale, mi sposto verso la penisola di Nicoya, a Guanacaste, provincia che prende il nome da un albero dalla buffa chioma sferica che è anche uno dei simboli del Costa Rica. Nel cantone di Santa Cruz si trova la cittadina di Tamarindo. Ai margini della strada che porta all’oceano, tra una carretta di noci di cocco e un negozietto che vende t-shirt fatte con stoffe ricavate dalla canapa, un gruppo di uomini sta giocando a carte su uno sbilenco tavolino di plastica. Sarà solo una sensazione, ma da queste parti la filosofia costaricense del Pura Vida appare ancora più piena e pervasiva.
L’inquieta, reverenziale fascinazione generata dalla montagna e dalla foresta scompare come per un incantesimo, spazzata via da un venticello leggero che odora di sale e dall’immagine familiare di due ragazzi che contemplano il tramonto seduti sulla sabbia. Come tutte le cittadine di mare, Tamarindo ha una doppia anima. Veste gli abiti da festa durante i mesi estivi, gli stessi in cui si fa chiamare Tamagringo e si trasforma in una piccola mecca dei surfisti e in luogo di divertimento per comitive di chiassosi americani.
A loro, e a tutti gli altri turisti, Tamarindo risponde con alberghi, bar e ristoranti con prezzi non troppo diversi da quelli che si pagherebbero a Pacific Beach. Ma è durante la stagione delle piogge, quando è abitata da poche migliaia di persone, che questa cittadina svela il suo lato solitario e più autentico: la carretta con le noci di cocco, il negozio di magliette all’angolo, la famiglia che gioca a carte in strada, indisturbata.
A Tamarindo, a 34 anni suonati, metto piede per la prima volta su una tavola da surf. Mi torna in mente quando, una quindicina di anni fa, calzai i pattini da ghiaccio. La paura di scivolare via è la stessa, però come allora mi stupisco di quanto basti poco per imparare a stare in equilibrio sull’acqua. Riesco persino a curvare e a fare un po’ di svolazzi con le mani. Per tutte le altre evoluzioni, bè… forse in un’altra vita.
5° GIORNO – Il porto dell’anima
Giungo a Puerto Carrillo, nel cantone di Hojancha, per scoprire quella che, contro ogni previsione, diventa la spiaggia di questo viaggio. Come Samara, sette chilometri più a nord, il distretto di Puerto Carrillo è stato in buona parte risparmiato dall’edificazione che ha interessato molte spiagge della penisola di Nicoya. La cittadina è, in sé, piccola e anonima: un pugno di negozietti, qualche locanda sulla litoranea, una fila di panchine arrugginite sotto le palme da cocco.
Il mio hotel si trova su un promontorio dalla cui sommità si vede la baia, una laguna a forma di ferro di cavallo facilmente raggiungibile a piedi. I ruscelletti che si incuneano tra la sabbia, l’aureola di palme e mangrovie che cinge il mare come in un abbraccio e la grande roccia puntuta su cui spunta la sagoma scheletrica e ricurva di un albero, simile a un vecchio guardiano: ogni cosa, viva o inanimata che sia, sembra avere un suo posto perfetto nell’equilibrio di questo luogo, che l’azione dell’uomo ha solo in minima parte compromesso. Puerto Carrillo è un luogo dalla bellezza così intensa che mi sento inadeguato a goderla appieno, incapace di ascoltare ogni singola nota che viene dal mare e che il vento fa risuonare tra le palme e le mangrovie.
Puerto Carrillo non è sempre così tranquilla. In estate e durante le feste popolari è meta dei Ticos con le loro famiglie e i loro cani, degli appassionati di snorkeling e degli amanti delle immersioni subacquee che arrivano qui percorrendo la Strada 150 percorsa a piedi anche da backpackers diretti a Tamarindo e a Playa Coyote.
6° GIORNO – Otto e il bradipo
La tabella di marcia prevede una visita al Parco Nazionale di Manuel Antonio, sette chilometri a sud del distretto di Quepos. Il programma della giornata rischia però di saltare a causa di Otto, una tempesta tropicale diventata uragano, che per tre giorni ha gettato nel caos il Costa Rica. Dopo che il presidente Luis Guillermo Solís ha proclamato lo stato di emergenza nazionale, migliaia di persone sono state evacuate dalle proprie case, prima che l’allarme rientrasse a alcune attrazioni venissero riaperte al pubblico.
Manuel Antonio, uno dei parchi più piccoli del Costa Rica, possiede un’affascinante combinazione di spiagge, barriere coralline e foreste tropicali in cui vivono tucani, iguane, pipistrelli, coati, scimmie urlatrici, colibrì, oltre che sua Maestà della Pura Vida: il bradipo. Dopo una settimana di infruttuoso cercare finalmente lo vedo, abbarbicato su un ramo, mentre fa il suo riposino pomeridiano. Il bradipo è soltanto una delle quasi 200 specie di mammiferi che vivono in questo parco. Se oggi potete visitarlo è grazie ai Ticos locali che all’inizio degli anni ’70, dopo che i proprietari elevarono recinzioni per impedire l’accesso al mare, fecero pressione sul governo perché le spiagge fossero accessibili e il parco visitabile da tutti. Fu così che nel 1978 divenne area protetta, per preservare una delle più vaste biodiversità del mondo.