Ci sono difformità, scrive Il Sole 24 Ore, sia riguardo ai tempi entro cui concludere gli interventi previsti dall'Autorizzazione integrata ambientale sia sul fronte dei volumi di produzione da non superare. Un problema giuridico che può spaventare le cordate di potenziali acquirenti e rendere non valida l'asta
La procedura per la vendita dell’Ilva a una cordata di privati, già rimandata più volte e slittata ancora pochi giorni fa, partirà con un difetto di origine che rischia di far sfumare l’intera operazione. A scriverlo è Il Sole 24 Ore, che rileva come il decreto varato nel giugno scorso dal ministero dell’Ambiente sia “difforme rispetto alla legge sull’Ilva” che ha recepito anche il piano relativo agli interventi previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale. Il primo fissa il termine ultimo per i lavori al 23 agosto 2023, la seconda al 2018. Non solo: mentre il decreto ministeriale stabilisce che i volumi di produzione non possano superare le 6 tonnellate d’acciaio all’anno, l’Aia di tonnellate ne prevede 8.
Una “bomba giuridica”, secondo il quotidiano di Confindustria, “in grado di spaventare gli acquirenti e di mandare deserta l’asta” o, qualora l’asta si svolgesse, “renderla non valida in un secondo tempo”. E i protagonisti delle due cordate interessate al siderurgico – da un lato gli indiani di Arcelor Mittal con il gruppo Marcegaglia, dall’altro Arvedi con Jindal, Del Vecchio e Cassa depositi e prestiti – se ne sono già accorte, come è ovvio. Anche se non è chiaro se anche questo abbia avuto un peso nella richiesta di prorogare il termine ultimo per la presentazione delle offerte rispetto al termine dell’8 febbraio.
In questo quadro appare ancora più incerto il destino dei circa 10mila lavoratori ancora impiegati dal siderurgico. Per la metà di loro i commissari straordinari scelti dal governo intendono chiedere da marzo, una volta scaduti i contratti di solidarietà, la cassa integrazione straordinaria. I sindacati hanno rispedito al mittente la proposta, definendola “inaccettabile” perché “rischia di aprire fronti incerti rispetto alle tutele occupazionali in una fase delicatissima con alle porte la cessione degli asset produttivi”: la ritengono un “assist che consegni ai futuri acquirenti la possibilità di avere elementi per eventuali dichiarazioni di esuberi strutturali nonché ulteriori danni economici per i lavoratori”. Ma ora anche la cessione rischia di non andare a buon fine.