La prima notizia è che nel 2017 Amazon assumerà 1200 operatori di magazzino (umani) a tempo indeterminato in provincia di Roma. La seconda notizia è che il ministro Graziano Delrio (Partito Democratico), invitato a un sopralluogo al nuovo polo, elogia lo spirito di squadra di Amazon – suggerendo ironicamente al proprio Partito di prenderlo a modello. Ma ministro Delrio, con tanti modelli, proprio Amazon? Non era meglio limitarsi alle dichiarazioni sul ruolo trainante delle infrastrutture?

Premetto che seguo Amazon con grande interesse dal punto di vista manageriale, lavorativo e sociale. Ho confrontato l’interessante biografia di Jeff Bezos e la narrativa di Amazon, con l’indagine e le accuse pubblicate dal New York Times (vedi in italiano Impiegati usa e getta su Internazionale del 28/8/2015), con i dati (a mio parere molto dubbi) forniti da Payscale e con qualche testimonianza diretta ‘pesante’.

Allora ben vengano le 1200 assunzioni. O no? Sono un valore certo in ambito locale, un valore “in sé”? O andrebbe visto anche quanti posti di piccoli esercizi al dettaglio distruggono. Vengono assunte “persone”? O “numeri retribuiti”? O semi-robot? Qualcuno fa queste analisi? Per Mc Donald si erano fatte, e con esiti controversi. Nel dubbio, intanto, ben vengano.

Per il mio lavoro e per passione sono decenni che studio dalla prospettiva del nonprofit i modelli manageriali e di HRM: ho quindi letto con gusto tutto quello che si poteva leggere su Apple, Google e Amazon. Mi appassiona lo storytelling imprenditoriale colorito. Poi siccome sono curioso e pure un po’ giornalista vecchio stampo, dopo lo storytelling verifico qualche dato e faccio qualche intervista.

Per trovare ad esempio che a dispetto della narrativa del “lavoro fantastico” – ove sembra che uno invece che a lavorare come un matto x ore al giorno (dove x è l’incognita numero di ore) vada in spiaggia a fare surf- si scoprono dati poco conformi alla narrativa. Ad es. che il tempo mediano di permanenza lavorativa (dati circa 4 anni un valore medio) è in Amazon, di 1 anno; in Google, di 1,1, anno. Che dire?

Se fossero posti fantastici in cui stare, o in cui poter resistere, perché solo un anno? O si fa per gioco –come una surfata- o non ci si resiste – nonostante ping pong, biliardino, favolose mense e infradito. O è talmente orgasmico, che non si resiste a lungo al troppo piacere? Poi mi capita di parlare con una ragazza, tostissima, che prima di passare a lavorare per le Ong aveva lavorato in Amazon in Italia. A richiesta di rapida sintesi della sua esperienza, risponde: “Atroce. Non esisti come persona, sei numero, un mezzo robot. Ma pagano meglio che in altri posti, 8 euro l’ora, puoi farlo per un po’, poi esci, poi in caso se ti servono soldi rientri”

Attenzione, non sto parlando male né di Amazon né di Google. L’indice di soddisfazione segnalato da Payscale su di loro è abbastanza alto. E il lavoro tradizionale, in Italia, spesso è peggio. Conosco bene un ragazzo italiano ventenne che – sempre in provincia di Roma come tanti (o come pochi?) – fa un lavoro tradizionalissimo, l’aiuto cuoco: prima non pagato, poi pagato in nero, poi con voucher fasulli, ora a 70 ore a settimana invece di 40 (300 ore al mese con quasi metà delle ore “fuori busta non retribuite”) per 1000 euro al mese (aiutatemi, fanno 3,3 euro netti all’ora?), mentre i proprietari girano in Mercedes e Ferrari.

La “banalità del male” italiana, è nel fatto che anche persone perbene mi dicono che è normale. E dove sono i sindacati, l’ispettorato del lavoro, la finanza, “lo Stato”? Se questi sono gli “esercizi tradizionali” in Italia, ben venga Amazon, e che apra anche ristoranti. Oppure la fuga di massa assistita dei giovani all’estero.

Nel bene, Amazon prende 1200 operai a contratto a tempo indeterminato, così come con gli Uber, i Deliveroo, etc. i ragazzi possono comunque guadagnare qualche soldo, staccare e rientrare se gli va. Soprattutto potranno capire che oltre i soldi e il contratto, quello che conta è “l’identità lavorativa”, non sentirsi un numero o un robot imperfetto.

Ma dov’è la riflessione della sinistra politica europea questo punto? Non solo sui salari, i contratti, la precarietà (taglio sindacalista) o le licenze dei taxi (taglio corporativo), ma proprio sul “valore” del lavoro e sul processo di formazione che il lavoro ha sull’identità della persona, del cittadino, e della sua stima di sé. Sul senso del lavoro nella quarta rivoluzione industriale in cui siamo entrati, e su come lavorarci dignitosamente. Se la riflessione è lasciata al New York Times o a blogger part-time, stiamo messi male davvero.

Ministro Delrio, io la stimo da sempre e mi sembra una persona serissima. Sarei felice se prendesse a modello lo spirito di squadra delle Ong: come Save the Children cresciuta di oltre il 428% dal 2007 (Censis, Rapporto sullo stato del Paese il 2 dicembre 2016), o di Oxfam Italia che ha un gruppo dirigente che fa squadra da 20 anni, o di Action Aid che sta facendo un grande lavoro sui temi della Cittadinanza Attiva, o di Intersos, Coopi e centinaia di altre Ong che offrono grandi prospettive ai giovani con migliaia di posti di lavoro all’anno (si facci a riferire quando può proposito la nostra ricerca Il Job posting delle Ong Italiane.)

Mi dirà che lei è alle Infrastrutture non alla cooperazione internazionale… beh, il non profit è più che mai infrastruttura portante civile, sociale, produttiva e valoriale ad altissima e capillare diffusione territoriale. E’ saldamente europeista. E, en passant, occupa in Italia oltre un milione e duecentomila persone, in Europa il 6% degli occupati.

Per concludere mi permetto una morale e modesti consigli. Per Amazon: assumete dei semi-robot in attesa della completa robotizzazione? Pieno diritto, grazie mille. E duecento, ma per carità non proponetevi come modello lavorativo o datoriale. Se poi, con uno slancio creativo, riusciste a far sentire i lavoratori anche persone, invece che numeri, la vostra brand reputation migliorerà e magari quei lavoratoti potranno anche parlare bene e continuare a ordinare le cose da voi. Rebus sic stantibus, ne dubito. Per Google: magari cercate di allineare la narrativa delle infradito con quella delle scarpe in rapida fuga da voi. Per i Sindacati e la sinistra: cambiate secolo e prendete a modello le Ong. Per le Ong: che forse siamo noi il modello migliore? Se ci crediamo, assumiamocene la responsabilità, comunichiamolo, e lavoriamo meglio sulla soddisfazione dei nostri lavoratori – c’è ancora parecchio da fare. Per i datori tradizionali che sfruttano senza ritegno i ragazzi di 20 anni: come si diceva a Roma, “dormite preoccupati”. Buon lavoro a tutti, basta che non sia in nero.

Se sei interessato ai temi del lavoro nel non profit, vedi gli altri post su questo blog e su Blog4Change

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Robot e Industria 4.0, il lavoro del futuro verrà ancora svolto dagli uomini?

next
Articolo Successivo

Roma, la protesta dei precari Istat: “Dal 2011 solo promesse. Siamo ostaggi delle correnti del PD”

next