Renzi è uno che fa la parabolica e che rischia un frontale. Questa volta non sono i “soliti” della minoranza del Pd a descrivere così il segretario. E’ il ministro della Giustizia Andrea Orlando, protagonista a suo modo della direzione del Pd che ha dato il via libera alla convocazione del congresso il prima possibile. Finora è stato considerato esponente dei Giovani Turchi, ma ieri non ha votato come i suoi compagni di corrente, come il presidente del partito Matteo Orfini, la mozione firmata anche da una “giovane turca”, Valentina Paris. E ora, parlando con Repubblica e Stampa, dice che non è escluso che anche lui si candidi alla segreteria del Partito democratico. “E’ un problema che mi porrò soltanto quando inizieremo a discutere sulla proposta da fare al Paese”. Nessuno lo dice ma tutti lo pensano: sarebbe la sintesi perfetta per mettere insieme le varie correnti di minoranza che – allo stato – esprimono tre candidature diverse, cioè quelle di Roberto Speranza, di Enrico Rossi e di Michele Emiliano.
Il discorso di Orlando ha ottenuto proprio il favore di Emiliano, tra gli altri: “Ho vinto il premio della critica” sorride il ministro. Ma “non mi sono messo d’accordo con la minoranza – ha spiegato alla fine della direzione il guardasigilli – Ho detto quello che penso”. Quello che pensa è: “Se vedi uno che sta facendo una curva parabolica che lo porta a un frontale, glielo dici di stare attento, no?”. E’ lo stesso concetto, con parole diverse, che Gianni Cuperlo ha rappresentato con la metafora delle balene che, seguendo il capobranco disorientato, finiscono spiaggiate. Ma Cuperlo è avversario di Renzi già dalle primarie del 2013. Orlando, invece, è stato a lungo un “lealista“, pur non confondendosi affatto tra i renziani di corte e, anzi, spingendo molto su provvedimenti “avanzati” in materia di giustizia, possibili bombe a orologeria. E infatti, ora, avverte il segretario che il congresso-lampo non serve a niente: “Così – dice alla Stampa – non si risolvono i nostri problemi identitari e di proposta politica”.
“Non ho detto niente di particolarmente eversivo – continua – Ho solo espresso i miei dubbi sul percorso. Se le mie parole fanno così clamore, significa che la discussione ha preso una brutta piega, perché o ci si insulta o bisogna darsi ragione al cento per cento”. Centro: è la diagnosi del male oscuro del Pd, scannato da un perpetuo dialogo tra sordi. Renzi gli ha risposto che la sua proposta – una conferenza programmatica piuttosto di un congresso – è già stata fatta parecchio tempo fa e che ora siamo alcune puntate avanti. Ma Orlando insiste, ci riproverà all’assemblea convocata per la prossima settimana. Sostiene che soprattutto per come sono fatte le regole del congresso, da statuto, questa nuova sfida è inutile: “Non portano a combattere la destra e i populismi come diciamo di voler fare. E’ un problema che un segretario dovrebbe porsi”. Scissione? “Mi auguro di no”.
E invece dalle parti della minoranza quasi non si tiene più nessuno. Davide Zoggia, bersaniano, dice ad Agorà, su Rai3, che le probabilità che se ne vada dal Pd sono “al 70 per cento“. Aggiunge che non sa nemmeno se andrà all’assemblea perché “sarà un congresso esclusivamente per regolare i conti”. “Ieri ho sentito molti slogan, cose dette nei mesi passati, ma non una seria analisi di dove posizionare partito. Serve una nuova linea politica del Partito democratico, abbiamo ancora una possibilità di salvare il Pd”. Miguel Gotor, senatore, altro vicino a Bersani, ribadisce se ce ne fosse bisogno: “Per noi la condizione necessaria è che ci sia un congresso vero, di discussione – dichiara a Omnibus, su La7 – e che definisca la piattaforma programmatica del Partito Democratico. Questa è la nostra richiesta. Se c’è l’idea di fare un congresso lampo, la scissione dal mio punto di vista è a un passo”.
Ma i sostenitori di Renzi sembrano non sentire, ancora una volta. “Nessuno vuole un congresso di figurine – spiega l’ex sindaco di Torino Piero Fassino a Radio Anch’io, su Radio1 – Gotor evoca la scissione ogni giorno in una intervista. Facesse un intervento in direzione per dirci come la pensa, non sarebbe male. La parola scissione non la si può usare come bere un bicchier d’acqua”. Ma poi, prosegue, “una volta fatta questa fantomatica scissione qual è il risultato? Consegniamo il Paese al centrodestra o a Grillo? C’è nel Paese la domanda di un nuovo partito? E quale è il programma del soggetto che nasce da una scissione? Mi auguro che non ci sia una scissione” perché “si farebbe un danno al paese consegnandolo alla destra o ai Cinquestelle e non credo che questo sia quello che chiedono gli italiani e, soprattutto, la nostra gente”.
In realtà il problema non è tanto se qualcuno chiede davvero un altro partito, ma se Renzi risponde alle domande di chi vede nel Pd una possibile risposta. “Le parole di Renzi e i suoi atteggiamenti non fanno altro che alimentare il rischio scissione e implosione nel Pd – sottolinea Francesco Boccia a Mix24, su Radio24 – Mi sarei aspettato che si comportasse come i suoi predecessori, con le dimissioni sul tavolo e un segretario o una segreteria di garanzia fino alle elezioni del prossimo segretario”. Boccia, che da tempo segue le posizioni di Emiliano, spiega meglio qual è il problema: “Non è il congresso subito, io lo chiedo dalla sera del 4 dicembre e va benissimo, ma quanto tempo dai ai tuoi sfidanti per presentare le loro idee alternative. Renzi ha il dovere di dare agli altri il tempo che ha avuto lui da Sindaco di Firenze di andare in giro per il Paese a presentare le sue tesi dopo le dimissioni di Bersani nel 2013. Questo tempo mi pare che lo si voglia negare e questo è molto grave”. Insomma: Renzi “non esclude la scissione e con i suoi comportamenti non fa altro che alimentare questo sentimento. E’ ancora il segretario che cerca lo scontro per lo scontro”.
Così diventa centrale il ruolo di Dario Franceschini, che è decisivo nell’assemblea del Pd (“è il king maker” dice Boccia) perché muove un quinto dei delegati che sono esattamente l’ago della bilancia (i renziani sono il 45%, Giovani Turchi, Cuperlo, Bersani e minoranze varie tutte insieme sono al 35). Secondo Repubblica le speranze del ministro della Cultura di evitare una scissione sono ai minimi termini: “Se va via un ex segretario (Bersani, ndr) è un problema gigante – dice Franceschini a Repubblica – E in giro per l’Italia quel mondo vale più dei 13 voti che hanno in direzione”. Gianni Pittella – capogruppo dei Socialisti e Democratici all’Europarlamento ci prova così, con San Valentino: “Parlare di scissione nel giorno dell’amore mi sembra un non senso, noi dobbiamo amare il Pd”.