di Monica Di Sisto*
Caldo dell’abbraccio con il presidente Usa Donald Trump, Justin Trudeau va a Strasburgo dove spera di convincere di persona quanti più europarlamentari possibili che l’accordo di liberalizzazione commerciale tra Europa e Canada, il Ceta, che sarà domani al voto, sia cosa buona e giusta. Il Giovane Trudeau, tuttavia, ieri ha strappato per il suo Paese migliori condizioni del Messico in quel processo di revisione della ventennale area di libero scambio Nafta annunciata da Trump, che potrebbe confinare lavoratori e merci messicane non solo al di là del muro fisico, ma anche commerciale che gli stessi Usa e il Canada hanno issato con condizioni vantaggiose per i propri investitori, ma letali per lavoratori e ambiente.
Sul trattamento riservato al Messico Trudeau si guarda bene dall’esporsi; anche sulla questione Muslim ban e rifugiati, rispetto ai quali mesi fa si era fatto paladino di mamme e bambine in fuga, è stato sfumatissimo, ininfluente. Sembra una seconda puntata di quella attitudine della diplomazia commerciale canadese “falsa e cortese”, diremmo in Italia, che ha portato la sua ministra al Commercio, Chrystia Freeland a lasciare immediatamente Bruxelles ad arte quando la Vallonia ha chiesto alla burocrazia europea di fermare il dannosissimo Ceta: “Abbiamo deciso che era davvero importante non andarcene via da arrabbiato, perché volevamo che i Valloni fossero colpevolizzati”, ha detto testualmente la ministra al quotidiano Globe. “Sapete, noi siamo canadesi, per la gente siamo gentili, grandi, quindi il tono che abbiamo scelto era più di dispiacere che di rabbia. Questa modalità ha creato una crisi e ha trasformato questo in un loro problema. Nelle 24 ore successive, sapete quanti politici europei mi hanno chiamato per chiedermi di non andarmene?”.
Questo è il livello di affidabilità dei nostri partner commerciali che dovrebbero farci da argine a Trump. Un programma, quello di Trudeau, decisamente più vicino a Trump che a Obama considerato che appena il Tycoon è stato eletto si è congratulato pubblicamente per la scelta in virtù dei “comuni valori” dei loro governi, e lo ha di nuovo ringraziato per aver dato il via libera all’oleodotto Keystone XXL bloccato da Obama perché avrebbe accelerato la lavorazione di sabbie bituminone che lui considerava nemiche della sua “rivoluzione verde”.
A chi, ideologicamente, ancora sostiene che il Ceta sia uno strumento anti-Trump, questi argomenti dovrebbero bastare per capire che si sbaglia. Senza contare che 40mila imprese americane hanno sede in Canada e in virtù anche della riforma del Nafta potrebbero ottenere un ingresso a dazio zero nel nostro mercato anche se Trump, come ha annunciato, dovesse decidere di bloccare alla frontiere gioielli del made in Italy come i formaggi e addirittura la Vespa. Verrebbe, poi, garantito per la prima volta agli investitori canadesi di citare per danni i nostri Stati se le nostre leggi danneggiassero i loro interessi. E prima di farne di nuove, dovremmo consultarli e recepirne le indicazioni, o pagargli i danni, anche se con quelle leggi volessimo difendere l’ambiente o le persone.
Ci dicono, però, che con il Ceta gli europei risparmieranno 500 milioni di euro in tariffe doganali. Non è vero. Saranno soltanto le aziende che esportano in Canada ad avere questo vantaggio, che in verità è piuttosto risibile se rapportato al valore degli scambi tra Ue e Canada, che già oggi ammonta a più di 50 miliardi di euro. Il Ceta però sottrarrà agli Stati europei ben 331 milioni di euro di dazi riscossi fino ad oggi sulle merci in arrivo dal Canada. Questo a fronte di un aumento di Pil che – al lordo della Brexit di cui la Commissione non ha mai calcolato l’impatto sul trattato – per l’Europa, in dieci anni, vale tra lo 0,003% e lo 0,08% e per il Canada tra lo 0,3% e lo 0,76%. La Tuft University statunitense ha calcolato che il Ceta provocherà una perdita media di reddito da lavoro media di 615 euro tra tutti i lavoratori Ue, con punte minime di -316 euro fino a picchi di –1.331 euro in Francia, e la distruzione di 204mila posti di lavoro, dei quali circa 20mila in Germania e oltre 40mila sia in Francia sia in Italia.
Per questa e per migliaia di altre buine regioni, dobbiamo convincere i nostri europarlamentari a bocciare il Ceta domani a Strasburgo. In questa votazione la posta in gioco è la gran parte delle conquiste sociali raggiunte negli ultimi decenni. Per fermarlo stiamo scrivendo, telefonando, tartassando i nostri rappresentanti, insieme alle reti internazionali, facendo appello alle italiane e agli italiani che hanno a cuore l’interesse pubblico, i beni comuni, l’ambiente e la democrazia. In questa fase, più che mai, è necessario l’aiuto di tutti per fare pressione sugli europarlamentari favorevoli a questo accordo tossico.
*portavoce della Campagna Stop TTIP Italia