La notizia che Trump ha deciso che i servizi segreti americani potranno torturare i terroristi, in particolare con la tecnica del portare al limite dell’annegamento, è stata spiegata col dato pragmatico che “è efficace”. In questo scritto non intervengo sugli aspetti etici e morali, quante storie direbbero i sostenitori di The Donald, o sul dato politico che i terroristi sono riusciti nel loro intento di cambiare lo stato delle garanzie di una grande civiltà. Non voglio neppure valutare il rischio che a torture vengano sottoposte persone innocenti che non hanno nulla da confessare. Quello che mi chiedo in modo pragmatico è se la tortura sia efficace e soprattutto utile.

Sull’efficacia di queste tecniche per far parlare eventuali terroristi non dovrebbero esserci dubbi in quanto tutti gli uomini hanno livelli, più o meno elevati, di sopportazione ma poi cedono. L’efficacia è però legata al fatto che le confessioni siano veritiere e attendibili altrimenti si corre il rischio di offrire consistenza a tesi e progetti accusatori che sono solo presenti nelle menti dei torturatori.

Il torturato, come succedeva ai tempi della santa inquisizione in cui i malcapitati affermavano di essere posseduti dal demonio, arriva a confessare qualsiasi cosa e per ingraziarsi il torturatore cerca di capire dalle domande quello che questi vuole sentirsi dire per poi, indipendentemente dal fatto che sia vero o falso, avvalorare qualsiasi tesi precostituita. Si tratta di una adesione psicologica, simile alla così detta sindrome di Stoccolma, per cui si instaura una dipendenza emotiva col torturatore che riveste il ruolo di genitore sadico. Tutto ciò che vuole il torturatore, ma anche solo si immagina che desideri, diviene verità inconfutabile. Può darsi che sia già avvenuto quando diversi prigionieri iracheni hanno affermato che Saddam Hussein aveva a disposizione arsenali poi rivelatisi inesistenti.

Possiamo affermare che in singoli casi la tortura potrebbe risultare utile come ad esempio nello sventare un attentato grazie alla confessione dell’attentatore? A lungo termine però, per reazione, i terroristi muterebbero le loro strategie. Ad esempio terrebbero segreti multipli fra le cellule terroristiche e fra i singoli componenti di un commando. Per reazione non si farebbero più arrestare ma sparerebbero all’impazzata per impedire di essere catturati. Questo perché, sapendo di essere torturati, non avrebbero nulla da perdere.

Questa differenza di comportamento dei criminali è già molto evidente nei Paesi ove vige o non vige la pena di morte. Da un punto di vista psicologico sulla popolazione generale sapere che le agenzie governative possono torturare può ingenerare un senso di timore e sfiducia verso ogni forma di autorevolezza statale. Lo Stato perdendo in autorevolezza diverrebbe solo autoritario e progressivamente sempre più distante, a livello emotivo, da ogni individuo ingenerando sfiducia e comportamenti antisociali. Sul terreno pragmatico dell’efficacia e utilità della tortura a mio avviso emergono molti dubbi che devono essere associati agli aspetti etici per rigettare in toto questa barbara e inutile pratica.

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