Il rapporto dell'organizzazione parigina su Roma: "Il livello di competenze linguistiche è basso e l'inadeguatezza delle competenze è tra le più elevate dei Paesi Ocse: ciò ostacola l’aumento delle retribuzioni e l’incremento del benessere"
L’Italia fa progressi, ma la ripresa è ancora debole. Colpa della produttività in calo, delle scarse competenze dei lavoratori, dei bassi investimenti e delle banche malate. Senza contare, per quanto riguarda la pubblica amministrazione, i processi legislativi troppo tuortuosi. Ma soprattutto l’evasione fiscale. E, a proposito di tasse, sarebbe opportuno rintrodurre quelle sulle prime case per “generare lo spazio fiscale per ridurre la tassazione sulle attività produttive”. Lo sostiene l’Ocse nel suo Rapporto economico sull’Italia, che è stato accompagnato da una chiosa del segretario generale dell’organizzazione parigina, Angel Gurria: “L’evasione fiscale è il tallone d’Achille dell’Italia”.
Nella Penisola “il livello di competenze linguistiche è basso e lo skill mismatch (l’inadeguatezza delle competenze ndr) è uno dei più elevati tra i Paesi Ocse: ciò ostacola l’aumento delle retribuzioni e l’incremento del benessere”, si legge nel rapporto in cui l’organizzazione parigina invita il Paese a “migliorare il sistema d’istruzione e le politiche occupazionali se si vogliono aumentare i salari reali insieme alla soddisfazione professionale e il livello di vita”. L’Ocse, poi, conferma la propria predilezione per la tassazione degli immobili residenziali considerata “favorevole alla crescita”. Nel rapporto, l’organizzazione sottolinea come questa tassazione sia “sottoutilizzata” nella Penisola e si definisce “un passo indietro” l’abolizione di Imu e Tasi sulle prime case. Anzi, nel rapporto si invita a “reintrodurre le tasse sulle prime case così da generare lo spazio fiscale per ridurre la tassazione sulle attività produttive”. Ponendo l’accento sul rinvio della revisione delle rendite catastali, l’Ocse invita il governo a procedere “con regolarità a rivedere il valore imponibile delle proprietà immobiliari” per evitare disuguaglianze.
In generale, poi, in Italia secondo Gurria “le riforme stanno dando i risultati ma restano sfide importanti: è questo il nostro messaggio”, nel quale si dà atto che anche a livello internazionale la congiuntura vive una fase di incertezza, con calo degli investimenti e aumento delle disuguaglianze mondiali. Tuttavia, riconosce il numero uno dell’Ocse, “nonostante questo difficile scenario internazionale l’Italia ha fatto le riforme” e nel 2017 il Pil “crescerà dell’1%”. Inoltre l’occupazione ha giovato “della riforma del mercato del lavoro e delle nuove regole sui contratti”. Tuttavia “la disoccupazione in Italia resta elevata tra i giovani, intorno al 45% rispetto alla media Ocse del 13″. Il Paese deve “portare avanti il processo di riforme, anche la riforma delle riforme“, in quanto le norme vanno adattate e aggiornate in base al contesto, spiega Gurria.
In particolare l’Italia “riteniamo che debba concentrarsi su quattro sfide: aumentare la crescita della produttività e gli investimenti; risanare le banche; sostenere la crescita dell’occupazione e migliorare le competenze; diminuire la povertà”. Le “questioni fondamentali” che Roma deve risolvere dal punto di vista della pubblica amministrazione, poi, riguardano “un processo legislativo troppo lungo e complesso” e “una sovrapposizione dei compiti tra il governo centrale e gli enti locali, in particolar modo per i settori di rilevanza nazionale, come le infrastrutture e il mercato del lavoro”. Se si faranno “passi avanti in materia”, “l’Italia potrà avvalersi di migliori leggi e di politiche più efficaci”.
“E’ innegabile che l’andamento della produttività in Italia sia andato male non ieri ma negli ultimi due decenni”, ha commentato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. “Il vero avversario della politica economica – sostiene – è questo ostinato andamento della politica economica non positivo come vorremmo ed è per questo che bisogna avere tutti gli strumenti a disposizione non ci sono scorciatoie, le riforme si sostengono a vicenda e tutti gli strumenti vanno utilizzati. I risultati si vedono, non esito a dirlo, stiamo andando nella direzione giusta sul lavoro, sulla riforma Pa, sulla riforma del sistema giudiziario, sulla lotta all’evasione fiscale, dove abbiamo avuto risultati molto importanti. Un altro comparto cruciale è quello delle banche: l’Italia è un Paese che ancora ha sulle spalle delle banche un peso eccessivo di sofferenze e non può disporre a causa della nuova legislazione europea di strumenti che altrove hanno avuto risultati importanti”.
Il ministro ha poi messo le mani avanti sul nuovo piano di dismissioni delle partecipazioni statali che sta facendo molto discutere soprattutto per il caso Poste e quello delle Ferrovie. “Le privatizzazioni fin qui fatte e quelle che faremo non tolgono dal posto di guida lo Stato, lo mantengono là con più strumenti a disposizione. Gli obiettivi strategici che lo Stato affida alle sue partecipate rimangono pienamente operativi. Se ci sono timori rispetto a questo tema sono idee semplicemente sbagliate“, ha detto Padoan confermando che il programma di dismissioni continuerà, anche con l’obiettivo di abbattere il debito. Quanto alla manovra aggiuntiva richiesta da Bruxelles, il ministro ha ribadito che “stiamo considerando varie opzioni, sia dal lato delle spese che delle entrate, come ho scritto nelle due lettere alla Commissione europea e come ribadisco”.
Quanto ai numeri, dopo il +0,9% registrato lo scorso anno, nel 2017 e nel 2018 la crescita del Pil italiano dovrebbe attestarsi al +1,0%. Quanto al deficit l’organizzazione stima un leggero calo al 2,3% del Pil nel 2017 e al 2,2 nel 2018. Sul fronte debito, l’Ocse vede il tetto nel 2016 al 132,8% del Pil con una minima riduzione quest’anno al 132,7% e al 132,1% nel 2018. Fra gli altri dati, il calo della disoccupazione all’11,1% quest’anno e al 10,7% nel 2018. Tuttavia con un ritorno dei tassi di interesse reali ai livelli pre-crisi, intorno al 4,4%, secondo l’Ocse l’Italia rischia di vedere il suo debito crescere fino al 140% del Pil. In questo caso, per stabilizzare il debito al livello attuale, l’avanzo primario dovrebbe aumentare al 2% del Pil mentre la crescita del Pil reale dovrebbe salire a quasi l’1,4 per cento.