Amnesty International ha lanciato un appello mondiale in favore di Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano 45enne esperto di Medicina dei disastri e assistenza umanitaria in carcere in Iran dal 25 aprile 2016 e che rischia di essere condannato a morte.
Djalali, residente in Svezia, lavora nel campo della Medicina dei disastri dal 1999 e ha scritto decine di articoli accademici. Ha lasciato l’Iran nel 2009 per un dottorato di ricerca presso il Karolinska Institute in Svezia, poi ha proseguito le sue ricerche presso l’Università degli studi del Piemonte Orientale e la Vrije Universiteit di Bruxelles, in Belgio.
È stato arrestato il 25 aprile 2016 in Iran, dove si trovava per prendere parte a dei seminari sulla Medicina dei disastri. Era tornato nel suo paese già due volte, senza aver avuto problemi. I familiari hanno avuto sue notizie solo 10 giorni dopo l’arresto, quando Djalali ha potuto fare una breve telefonata. Dopo l’iniziale periodo di detenzione segreta, è stato trasferito alla prigione di Evin, a Teheran, dove ha trascorso i primi tre mesi in isolamento e senza assistenza legale.
Djalali ha denunciato che a dicembre le autorità giudiziarie iraniane gli hanno fatto forti pressioni affinché firmasse una dichiarazione in cui “confessava” di essere una spia per conto di un “governo ostile”. Quando ha rifiutato, gli è stato detto che gliel’avrebbero fatta pagare con l’accusa di “atti ostili contro Dio” (moharebeh), che comporta la pena di morte. In segno di protesta, ha iniziato uno sciopero della fame che ne ha fiaccato la salute: ha perso 20 chilogrammi di peso, ha avuto due collassi, la pressione sanguigna è diminuita e ha forti dolori ai reni.
Due settimane fa, il 31 gennaio, Djalali è comparso davanti alla sezione 15 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, senza il suo avvocato. Il presidente del tribunale lo ha informato che è accusato di “spionaggio” e che potrebbe essere condannato a morte.
L’avvocato nominato da Djalali ha riferito ad Amnesty International che le autorità giudiziarie non hanno ancora formalizzato un preciso capo d’accusa né hanno stabilito la data del processo. L’ufficio del procuratore generale si rifiuta tuttavia di condividere tutta la documentazione con l’avvocato: è considerato non idoneo a gestire il caso in quanto il suo nome non compare negli elenchi ufficiali della procura.
Amnesty International chiede alle autorità iraniane di rilasciare Djalali a meno che non sia incriminato per un reato accertato, effettivo e riconosciuto dal diritto internazionale e che, nel frattempo, egli non sia sottoposto a punizioni per aver intrapreso lo sciopero della fame, sia visitato da medici competenti ed abbia pieno accesso al suo avvocato e ai rappresentanti del consolato di Svezia in Iran.