di Alessandra Maino * e Martina Costantino **

Promuovere nelle aziende la cultura del rispetto e aumentare la consapevolezza di datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentati sulle molestie e sulla violenza nei luoghi di lavoro: con questo scopo, nel mese di aprile 2016, le parti sociali Cgil, Cisl Uil e Confindustria avevano firmato l’accordo quadro sul tema delle molestie.

Ricordiamo che ai sensi dell’articolo 26, Dlgs n. 198 del 2006 si definiscono molestie quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Se nel processo penale, dimostrare le molestie è piuttosto agevole, poiché il giudice può condannare il “molestatore” sulla base delle sole accuse della parte offesa – laddove chiaramente queste siano credibili rispetto al contesto in cui sono inserite – nel processo del lavoro la parola della persona molestata non è sufficiente per provare i fatti di causa, ma è necessario fornire ulteriori elementi di prova.

Tuttavia l’articolo 40 del d.lgs. 198/2006 prevede espressamente che se il ricorrente fornisce elementi di fatto – per esempio, dati statistici relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti – idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione e dimostrare che ricorrono circostanze univocamente incompatibili con il significato di molestia/discriminazione.

E con la sentenza n. 23286, del 15 novembre 2016 la Suprema corte di Cassazione è intervenuta sul tema delle presunzioni, stabilendo che l’equiparazione tra discriminazioni di genere e le molestie sessuali determina anche l’applicazione del particolare regime probatorio previsto dall’art. 40 d.lgs. 198/2006 in ipotesi di discriminazioni di sesso. Nel caso esaminato, la Corte aveva dichiarato la nullità del licenziamento disposto nei confronti di una dipendente che aveva rifiutato di sottostare alle molestie sessuali del proprio datore di lavoro, confermando la natura discriminatoria del recesso. Per la Suprema Corte, correttamente i giudici del merito avevano ravvisato la prova presuntiva delle molestie sessuali sia nelle plurime deposizioni offerte dalle giovani lavoratrici (che hanno riferito di aver subito analoghe molestie in seguito all’assunzione), sia nell’esasperato turn over tra le giovani dipendenti che, dopo un breve periodo di lavoro, si dimettevano senza apparente ragione.

Ulteriori elementi che possono valere come elementi presuntivi delle molestie, oltre a quelli indicati nel caso esaminato dalla Corte, potrebbero essere ad esempio, tempestivi certificati medici/psichiatrici delle vittime di molestie, che attestino uno stato psicofisico alterato, racconti resi a familiari o amici che potranno essere chiamati a testimoniare e a riferire quanto appreso dalla vittima nell’immediatezza dei fatti.

L’equiparazione suggerita dalla Corte delle molestie alle discriminazioni di sesso offre quindi la possibilità di usufruire di un regime probatorio – quello delle presunzioni – più agevole per chi si trova a denunciare queste condotte così spiacevoli.

Per i lavoratori e le lavoratrici molestate è sempre stato difficile raccontare e provare in giudizio quanto accaduto; sappiamo infatti che gli episodi di molestie non si manifestano quasi mai in pubblico e nella maggior parte dei casi la vittima si trova da sola a dover fronteggiare il molestatore. La sentenza della Corte si pone quindi in senso estremamente favorevole per le vittime di molestie: il giudice dovrà valutare i fatti di causa, sia sulla base delle dichiarazioni della vittima, sia su quelle di altri colleghi, oggetto del medesimo trattamento, o su precisi dati statistici che facciano presumere la sussistenza di condotte moleste nel luogo di lavoro.

Per questo è fondamentale che vi sia collaborazione tra i lavoratori molestati per evitare che il coraggio di chi è riuscito a denunciare quanto subito non rimanga vano.

* Curiosa e attenta ai cambiamenti socio-economici, ho maturato la mia esperienza professionale, specializzandomi nel diritto del lavoro, in collaborazione con il principale sindacato italiano. Ho scelto di dedicarmi con impegno alla tutela dei lavoratori perché, come diceva Pellizza da Volpedo, credo che per rivendicare i propri diritti sia necessaria una “lotta serena, calma e ragionata”. Originaria di Vicenza, vivo e lavoro a Milano da oltre tre anni.

** Laureata in giurisprudenza presso l’Università Commerciale L. Bocconi e appassionata di diritto sindacale.  Ho avuto la possibilità di scendere “in campo” – grazie all’esperienza di praticantato che sto svolgendo presso lo studio legale Rosiello di Milano – e approfondire le tematiche sui diritti a tutela dei lavoratori, imprenscindibili per un sano svolgimento del rapporto lavorativo.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Roma, la protesta dei precari Istat: “Dal 2011 solo promesse. Siamo ostaggi delle correnti del PD”

next
Articolo Successivo

Lavoro, Landini: “Su diritti governo Renzi ha fatto solo politiche sbagliate, neanche Berlusconi era arrivato a tanto”

next