A poco meno di quattro settimane dall’Inauguration di Trump, salta la prima testa nell’amministrazione: con le dimissioni del generale Michael Flynn, capo del National security council, diciamo la spia n.1 d’America, la sicurezza interna ed esterna degli Stati Uniti viene esposta ad un periodo di massima vulnerabilità di cui il maggior beneficiario, se non artefice, è Vladimir Putin.

La caduta di Flynn non è affatto simbolica o episodica. Conferma l’idea secondo cui questa Casa Bianca trumpiana ha un Dna che sembra caratterizzato da incompetenza, approssimazione e dall’aggressività tipica dei dilettanti allo sbaraglio; ma svela soprattutto che la Guerra Fredda Usa-Russia è sempre in agguato e anzi potrebbe con un nonnulla diventare calda.

Dopo una lunga serie di errori madornali, lotte intestine, menzogne, le dimissioni di Flynn portano a un’escalation della crisi sul fronte della geopolitica globale, con toni che non si vedevano dai tempi della crisi Iran-Contra nel secondo mandato dell’amministrazione Reagan. Passano all’improvviso in secondo piano le altre controversie sollevate da Trump: il muro con il Messico, il bando anti-musulmani, l’abolizione della riforma sanitaria di Obama (che sembra già lontano anni luce), il conflitto di interessi con i business di famiglia.

Flynn è finito nella bufera dopo una serie di “soffiate” ai media (abbondanti e provenienti dalla stessa Casa Bianca, indice del clima di paura e disordine che vi regna) con indiscrezioni sulle conversazioni del generale con l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, in particolare sulle sanzioni economiche a Mosca.

Qui ci sono due fattori da considerare.

Il primo riguarda la politica estera degli Stati Uniti e un Trump troppo ossequioso e succube della Russia (alcuni dicono con un’iperbole che sia il vero agente di Putin a Washington) il che cozza con il caposaldo invalicabile per i Repubblicani al Congresso: Mosca è sempre il vero nemico degli Stati Uniti, non come ai tempi dell’Urss, ma quasi. La Crimea è stata annessa, l’Ucraina è a rischio, la Russia ha cercato di hackerare le elezioni americane e recentemente Putin ha perfino piazzato alcuni missili Cruise dove non doveva, violando un trattato bilaterale con gli Usa in vigore da oltre 30 anni.

Flynn in sostanza era ricattabile dal Cremlino, secondo un memo top secret del Dipartimento di Giustizia di due settimane fa. Come del resto ricattabile potrebbe essere lo stesso Trump, secondo varie fonti di Washington. Il Congresso sembra stia per chiedere un’investigazione bipartisan sui rapporti della nuova amministrazione Usa con la Russia, risalendo fino ai legami facenti capo all’ex manager della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, costretto alle dimissioni anche lui per gli stessi motivi.

Esiste, è vero, il fattore della demonizzazione di Putin, della Russia e di Flynn nell’ambito della sempreverde campagna neocon, in cui Pentagono, Cia e altre agenzie di intelligence perseguono il costante antagonismo con Mosca, come un pompiere che ha il difetto di essere piromane per giustificare il suo lavoro.

Eppure il secondo fattore non sembra affatto secondario: l’agghiacciante incompetenza e la coesione zero del team Trump alla Casa Bianca. Scollamento pauroso dal resto del mondo. Qui si discute di politica estera, rapporti tra superpotenze, missili nucleari, zone di influenza. Se la politica estera americana è ‘umorale’, improvvisata e senza alcun piano strategico, ciò equivale a molti Cigni Neri all’orizzonte di uno scenario globale già abbastanza incerto.

Il caos e la superficialità che avevano caratterizzato Trump sia in campagna elettorale che nella gestione del suo business per anni, adesso minacciano gravemente la presidenza Usa e la sua credibilità nel mondo.

Le lotte intestine poi sono un pessimo segnale. La Cia diffida in modo assoluto di Trump, ripagato con la stessa moneta dopo i suoi insulti all’agenzia di spionaggio (sembra non gli passino i documenti più importanti di ‘intelligence’, che tra l’altro lui non legge perché il Presidential Daily Briefing è ‘troppo lungo’ rispetto ai 140 caratteri di Twitter oltre i quali non va). La feroce lotta tra bande viene confermata dal fatto che Flynn aveva mentito platealmente al vicepresidente Mike Pence sul contenuto dei colloqui con l’ambasciatore russo. Peggio: lo stesso Trump aveva mentito a Pence, come scrive il Washington Post. Ovvio infine (anche se rimane ancora un mistero) che Flynn non ha chiamato il diplomatico di sua iniziativa. Chi l’ha consigliato? Forse “Darth Vader” Bannon, il suprematista bianco consigliere strategico di Trump e vera ‘anima nera’ dell’amministrazione?

Sulla base delle menzogne nell’Ufficio Ovale Pence è stato mandato allo sbaraglio in tv, e così il VP ha dichiarato che “la conversazione era stata causale” e che Flynn e il diplomatico russo “non avevano discusso di nulla che avesse a che fare con la decisione degli Stati Uniti (presa da Barack Obama) di espellere 35 diplomatici russi e di adottare nuove sanzioni“. Il tutto, lo stesso giorno in cui Obama aveva confermato le nuove sanzioni economiche contro Mosca.

In sintesi Flynn e Trump hanno tenuto all’oscuro il n.2 della Casa Bianca, dandolo in pasto ai media. Eppure Pence è l’uomo che tiene i rapporti con i Repubblicani al Congresso (fondamentali per passare le leggi) e a cui si devono molte nomine chiave dell’amministrazione. Forse, proprio per questo andava ridimensionato? Senza contare che oltre 800.000 persone hanno già firmato per l’impeachment di Trump.

Leader esteri dalla profonda lungimiranza strategica, politica e militare come Putin e Xi Jinping sono esterrefatti in queste ore dalla circostanza che gli Usa stiano sul punto di abdicare al ruolo di superpotenza globale, sotto la guida di una amministrazione di incapaci. I pochi politici europei di stazza (l’Europa non esiste) guardano ancora più increduli al disfacimento della supremazia americana, temendo il vuoto di potere che ne può derivare.

E’ comunque difficile immaginare un futuro di pace e prosperità per tutti, nei prossimi mesi, stante l’effettivo auto-declassamento degli Stati Uniti guidati dall’impresario di casinò e ‘Apprentice Commander-in Chief‘. Un conto era la campagna elettorale e vincere le elezioni, un altro conto è governare.

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