E’ stata ritirata la proposta di reintrodurre la pensione e il trattamento di fine mandato per i consiglieri regionali della Calabria. Dopo il clamore mediatico che ha suscitato nei giorni scorsi, i deputati calabresi hanno azzerato il disegno di legge che doveva essere discusso a Palazzo Campanella a distanza di due anni dall’abolizione del vitalizio.
Prendendo spunto dalla “disciplina prevista per i componenti della Camera dei deputati”, infatti, i consiglieri regionali volevano istituire e disciplinare quello che hanno definito “un sistema previdenziale di tipo contributivo”. Un sistema che, in soldoni, si sarebbe tradotto – si legge nell’articolo 2 della proposta di legge – nella “corresponsione del relativo assegno in 12 mensilità”. Una pensione che sarebbe arrivata a 65 anni per i politici eletti per una legislatura e, addirittura, a 60 anni per i consiglieri regionali che avrebbero fatto due o più mandati. Soldi che si sarebbero andati ad aggiungere a un “assegno di fine mandato” che, così come previsto dalla proposta di legge, aveva il sapore del tfr.
Privilegi della casta ai quali evidentemente i venti consiglieri calabresi firmatari non volevano rinunciare, scatenando la reazione contraria anche del governatore Mario Oliverio, che aveva minacciato di porre la fiducia qualora i suoi compagni di partito non avessero ritirato la proposta di legge, e del presidente del Consiglio Nicola Irto. Ma mentre quest’ultimo, è un esponente del Pd di appena 35 anni, alla prima legislatura e non avrà diritto mai al vitalizio, il presidente della Regione è entrato a Palazzo Campanella per la prima volta nel 1980, è stato sindaco di San Giovanni in Fiore, presidente della Provincia di Cosenza per 10 anni e parlamentare per altri 14 anni (dal 1992 al 2006) e ha già diritto a un sostanzioso vitalizio.
A dare notizia del ritiro del disegno di legge è stato il primo firmatario Domenico Battaglia, consigliere regionale del Pd che, a fine gennaio, aveva raccolto le firme non solo dei colleghi del suo partito ma anche del Nuovo Centrodestra, di Forza Italia, della Casa delle Libertà e de La Sinistra. “Quale primo firmatario della proposta di legge, – ha dichiarato Battaglia – alla luce delle polemiche divampate in questi giorni e degli attacchi strumentali di cui siamo stati oggetto con grande senso di responsabilità, anche a nome dei colleghi cofirmatari, ho ritenuto di dover procedere in tal senso”.
Tuttavia, Battaglia non rinnega la proposta “ribadendo – scrive in una nota – la bontà dell’intervento legislativo che voleva solo recepire quanto stabilito dal Decreto Monti, come è già avvenuto dalla Camera dei Deputati e da altre Regioni D’Italia (Campania, Lazio, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Veneto, Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta)”. Il ritiro della proposta di legge non è un addio. Piuttosto un arrivederci per Mimmetto Battaglia che, a questo punto, ritiene “opportuno che la problematica vada meglio approfondita in sede di conferenza dei capigruppo”.