“In carcere per corruzione non ci va nessuno”. A poche ore dall’anniversario – 25 anni – dell’inizio della stagione di Mani pulite la riflessione di quello che fu uno dei protagonisti fa effetto. Anche perché Piercamillo Davigo, già pm del pool di Milano, già giudice in Cassazione, ora è il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.
“Si sono alzate pene massime ma si dovevano alzare quelle minime”
Ospite di “Avanti il prossimo” il talk show di Tv2000 il magistrato aggiunge: “Sulla corruzione oggi la popolazione è rassegnata perché pensa che tutti la facciano franca. Praticamente nessuna condanna è stata eseguita: il 96% delle condanne è nei limiti della sospensione condizionale della pena, per la parte fino a 3 anni è previsto l’affidamento ai servizi sociali e per l’1% è intervenuto l’indulto che ha ridotto le pene”. Dati che sono presenti nel libro “La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale” scritto con la professoressa Grazia Mannozzi pubblicato nel 2007. Una rassegnazione di cui ha parlato anche un altro ex pm di Mani pulite, Antonio Di Pietro, che una decina di giorni fa al convegno organizzato al Palazzo di Giustizia di Milano per l’anniversario, davanti a moltissime poltrone vuote aveva detto: “Tangentopoli è ancora qui” mentre “Mani Pulite è finita” e da allora ad oggi l’unica cosa che è cambiata è che adesso “c’è desolazione da parte dell’opinione pubblica perché non crede più che possa cambiare qualcosa”.
“Le norme non aiutano – sottolinea Davigo – infatti la maggior parte delle condanne sono di livello molto basso. Per buttare fumo negli occhi ai cittadini si sono alzate le pene massime ma quelle che devono essere alzate sono le minime“. La legge Severino lo aveva fatto e anche la legge anticorruzione passata al Senato il 21 maggio del 2015. “Una persona colpevole del reato di corruzione deve invece sapere che meno di una certa pena non prende, questo può essere un deterrente altrimenti non ci crede nessuno. Per tre furti d’auto in Italia si può andare da 17 giorni a 30 anni di reclusione. Siccome non si può investire una persona di una simile discrezionalità è chiaro che i giudici si attestano verso i minimi”.
Cantone: “Corruzione male serio, ma c’è risveglio”
Sull’argomento corruzione interviene un altro magistrato, anche lui in passato pm e giudice di Cassazione, che è attualmente il presidente dell’Anac: “Corruzione e mafia vanno a braccetto, la corruzione è un male serio, radicato, ma c’è un risveglio delle coscienze che è la prova della reazione. Bisogna mettere in campo tutti gli strumenti. Purtroppo dopo Tangentopoli abbiamo ritenuto che molti problemi fossero superati e invece non era così” dice Raffaele Cantone, a margine del convegno “Contro le mafie: a che punto siamo?” in corso nell’aula magna di Giurisprudenza dell’università di Palermo. “Oggi sono molti gli strumenti di prevenzione, però appena si abbassa la guardia si ritorna punto e a capo – aggiunge Cantone – ci sono una serie di strumenti, ma il problema è tenere in vita un’azione di contrasto. In Sicilia l’Anac ha fatto diverse indagini, ad esempio sul settore della sanità o su quello dei rifiuti, ma va detto che la regione, almeno dal punto di vista normativo ha fatto dei passi avanti”. Proprio dalla Sicilia arriva la notizia dell’arresto di un imprenditore nell’ambito dell’indagine su un appalto dell’Autorità portuale di Augusta (Siracusa). L’imprenditore arrestato dalla Finanza, secondo l’accusa, avrebbe pattuito 330.000 euro.
Pignatone: “La mafia oggi preferisce la corruzione alla violenza”
La corruzione così com’è percepita, come un reato da furbi e che permette scorciatoie a suon di bustarelle, affascina anche la criminalità organizzata: “Oggi le mafie evitano di ricorrere alla violenza, tanto al centro-nord, quanto al centro-sud, anche perché è meglio ricorrere alla corruzione che non appare inaccettabile agli occhi della nostra società e non presuppone il ricorso alla violenza, quel ‘mondo di mezzo’ a cui ha fatto riferimento Carminati” rfilette il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone. “La strategia dell’antimafia deve essere quella di rompere la solidarietà e la convenienza di quel ‘mondo altro’ di allearsi con la mafia. Inoltre, va detto che al centro-nord non ci si può cullare dicendo che la mafia non esiste. La corruzione c’è sempre stata e la mafia vi ha sempre fatto ricorso. Il passo in avanti da fare oggi è ritenere che la corruzione non sia solo uno strumento per evitare la violenza ma, come ha detto la Cassazione, la forza intimidatoria del vincolo associativo può essere diretta tanto alla personale incolumità quanto a minacciare le essenziali condizioni esistenziali di determinate categorie economiche e soggetti”.