I giudici del processo di secondo grado modificano la prima sentenza di due anni fa della corte d’Assise di Chieti, quando il reato non era stato riconosciuto. Questa volta, invece, è intervenuta la prescrizione. Le condanne sono scattate perché i giudici hanno riconosciuto le aggravanti nei confronti di alcuni imputati accusati di disastro colposo: in questo modo hanno di fatto interrotto la prescrizione del reato. Tutte le pene sono state però condonate. Stabilite anche le provvisionali e le spese legali da riconoscere a parti civili: in totale ammontano a 3,7 milioni di euro
Nella discarica di Bussi ci fu avvelenamento colposo delle acque. Lo hanno deciso i giudici della corte d’Assise d’appello dell’Aquila alla fine del processo sulla mega discarica dei veleni della Montedison a Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara. Il presidente Luigi Catelli ha impiegato più di dieci minuti per leggere l’intero dispositivo della sentenza che infligge dieci condanne comprese tra i 2 e i 3 anni, ma scattate per il reato di disastro colposo aggravato. La corte, infatti, ha considerato provata l’esistenza del reato di avvelenamento aggravato, che però è stato considerato prescritto. In ogni caso, quindi, per i giudici dal polo industriale in provincia di Pescara furono effettivamente sversate tonnellate veleni residui della produzione nel fiume Tirino.
In merito al reato di disastro colposo, invece, i giudici hanno riconosciuto le aggravanti nei confronti di alcuni imputati, ricalcolando i tempi e stabilendo così che la prescrizione non era scattata: in questo modo è stato possibile infliggere le dieci condanne. Una decisione opposta rispetto a quella presa alla fine del processo di primo grado il 19 dicembre 2014, quando i 19 imputati furono assolti dalla corte d’Assise di Chieti dall’accusa di aver avvelenato le falde acquifere. Il reato di disastro ambientale, invece, era stato derubricato in colposo e, quindi, prescritto. Quell’assoluzione, come svelato dal Fatto Quotidiano, potrebbe essere stata ottenuta grazie alla pressioni esercitate sui giudici popolari, alcuni dei quali avevano preparato un esposto da inviare al Csm: vicenda sulla quale era stata aperta un’indagine da parte della procura di Chieti.
Oggi invece i giudici del processo d’appello hanno condannato a 3 anni di reclusione Maurilio Agugia, Carlo Cogliati, Leonardo Capogrosso e Salvatore Boncoraglio, mentre a Nicola Sabatini, Domenico Alleva, Nazzareno Santini, Luigi Guarracino, Carlo Vassallo e Giancarlo Morelli è stata inflitta una pena di due anni. Si tratta nella maggior parte dei casi di ex manager della Montedison. La corte ha però stabilito che tutte le 10 condanne sono condonate perché i fatti sono tutti antecedenti al 2 maggio 2006. Dei 19 imputati uno, Vincenzo Santamato, che si occupava di sicurezza ambientale in Ausimont, è deceduto, come ha comunicato alla corte il suo difensore, l’avvocato Alecci del foro di Milano. Assolto invece Guido Angiolini, ex amministratore di Montedison dal 2001 al 2003, perché il fatto non sussiste. Giudicato inammissibile il ricorso della procura per il perito chimico Maurizio Piazzardi.
Riformando la sentenza di primo grado i giudici hanno anche quantificato le provvisionali e le spese legali da riconoscere a parti civili. Si tratta di 3,7 milioni di euro così suddivisi: 2,705 milioni di provvisionali e 592 mila euro che con gli oneri arriveranno a un milione di spese legali. La sentenza ha così stabilito il principio del risarcimento danno che viene coperto per adesso soltanto parzialmente dalle previsionali: il conto successivo sarà fatto in sede civile. “È una grande sentenza perché dimostra la giustezza delle nostre tesi: i fatti ci sono, è stato riconosciuto l’avvelenamento delle falde acquifere”, ha commentato l’avvocato dello Stato, Cristina Gerardis, dopo la lettura della sentenza. “L’obiettivo finale resta comunque la bonifica del territorio e l’applicazione del sacrosanto principio del chi ha inquinato paghi” commenta il delegato Wwf Abruzzo, Luciano Di Tizio.
L’accusa: “Sversati veleni residui nel fiume Tirino”
Per l’accusa il polo industriale chimico di Bussi fino a tutti gli anni ’60 avrebbe sversato una tonnellata al giorno di veleni residui della produzione nel fiume Tirino, affluente del Pescara. Per gli inquirenti a conoscere i rischi era la Montedison: l’accusa nella requisitoria del processo di primo grado aveva mostrato un documento agli atti datato 1992, che per i pm si riferiva alla conclusione di una riunione tra alcuni degli imputati: un vero e proprio schema ‘confessione’ in cui si citavano problemi di clorurati nell’acquedotto Giardino. Così come, secondo l’accusa, la Montedison conosceva i rischi derivanti dai materiali sotterrati. In un altro documento interno, anch’esso mostrato nella requisitoria del processo di primo grado, la stessa azienda segnalava che l’acidità delle scorie avrebbe potuto sciogliere i cassoni di cemento che, a fine anni ’70, venivano utilizzati per seppellire i rifiuti industriali nella discarica Tre Monti. E non solo l’azienda, ma sapeva anche il Comune di Pescara, che nel 1972 inviò una lettera a Montedison chiedendo di rimuovere i rifiuti tossici interrati perché costituivano un pericolo di inquinamento concreto per le falde acquifere dell’acquedotto. Un inquinamento che sarebbe tuttora perdurante: lo scorso ottobre emerse dall’ultimo studio dell’Istituto Zooprofilattico d’Abruzzo e Molise che c’era mercurio oltre i limiti in un pesce su tre.
La requisitoria: “Confermare richieste del pm”
Il pg Domenico Castellani, al termine della requisitoria, vista “la gravità delle condotte”, aveva chiesto la conferma pene formulate dal pubblico ministero nel processo di primo grado: tra i 4 anni e i 12 anni e 8 mesi per disastro ambientale e avvelenamento dell’acqua. “La gravità delle condotte perpetrate per anni – aveva detto il pg prima di formulare le richieste – non consentono la sussistenza delle attenuanti generiche”, tutto ciò nonostante gli imputati siano incensurati. In primo grado la condanna più grave era stata chiesta nei confronti di Cogliati, amministratore delegato pro tempore di Ausimont. Dodici anni sono stati chiesti per Angiolini, amministratore delegato di Montedison dal 2001 al 2003, e per Luigi Guarracino. E ancora, fra le pene più alte, 11 anni chiesti per Leonardo Capogrosso, coordinatore dei responsabili dei servizi Pas degli stabilimenti facenti capo alla Montedison-Ausimont di Milano; Salvatore Boncoraglio, responsabile protezione ambientale e sicurezza della sede centrale di Milano; Carlo Vassallo, direttore dello stabilimento di Bussi dal 1992 al 1997; Nazzareno Santini, direttore dello stabilimento dal 1985 al 1992; Maurizio Aguggia e Giuseppe Quaglia. Le altre richieste di condanna sono: 10 anni e 4 mesi per Camillo Di Paolo, Vincenzo Santamato (che è deceduto come ha dichiarato oggi il legale), Giancarlo Morelli, Angelo Domenico Alleva e Mauro Molinari. Chiesti 7 anni per Luigi Furlani, Alessandro Masotti e Bruno Parodi. Anche i procuratori generali hanno chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto per Maurizio Piazzardi, mentre per Nicola Sabatini l’accusa ha chiesto 4 anni per il disastro ambientale e l’assoluzione per l’avvelenamento dell’acqua. La corte d’Assise d’appello dell’Aquila era entrata intorno alle 10.30 in camera di consiglio, uscendone otto ore dopo con una sentenza che ribalta l’assoluzione di primo grado.
L’inchiesta del Fatto sulle pressioni ai giudici di primo grado
Su quell’assoluzione, come raccontato dal Fatto Quotidiano, avrebbero potuto pesare le pressioni esercitate sui giudici popolari. Vicenda sui la procura di Chieti nel maggio del 2015 aveva aperto un fascicolo proprio in seguito all’inchiesta a firma di Antonio Massari in cui i giudici popolari rivelarono di non aver giudicato serenamente e di non aver avuto la possibilità di leggere gli atti. L’indagine trasferita a Campobasso e archiviata. Il decreto di archiviazione, però, ha mostrato le anomalie della vicenda. Nel maggio di due anni fa il Consiglio superiore della magistratura aveva aperto anche una pratica sui magistrati.