Il racconto di una donna veronese di 45 anni e della sua improvvisa iniziazione al ruolo di “slave”, pubblicato sul nuovo numero di Vanity Fair. Slave, appunto, schiava. Ma nell’accezione più democratica e libera del termine, quella di una persona che si dedica totalmente a un “dominante” e “che lo fa soprattutto per dare piacere a se stessa”
Riunione aziendale. Una penna cade casualmente per terra. Lui fissa lei ordinandole volontariamente di raccoglierla. Poi la folgorazione per la donna: “Ho sentito il bisogno di essere sottomessa e compiacerlo”. Questo il racconto di una donna veronese di 45 anni e della sua improvvisa iniziazione al ruolo di “slave”, pubblicato sul nuovo numero di Vanity Fair. Slave, appunto, schiava. Ma nell’accezione più democratica e libera del termine, quella di una persona che si dedica totalmente a un “dominante” e “che lo fa soprattutto per dare piacere a se stessa”. Export sales manager di una grande azienda, sposata poi separata con due figli, la slave veronese protagonista del lungo servizio a firma di Anna Mazzotti spiega nei dettagli come nascono e avvengono questi incontri tra schiava e padrone. Di solito ci si conosce in chat, ma non è escluso il contesto “normale”. Il Dominante deve avere “esperienza e responsabilità”, deve essere “deciso, diretto”, non deve avere paura “di sostenere uno sguardo, non deve dare spiegazioni ed essere abituato a gestire potere e stress”. Nel caso, come riserva ed extrema ratio una safeword concordata e pronta all’uso.
“La slave non è una povera disgraziata che si lascia usare come portacenere e tirare al guinzaglio”, spiega la donna intervistata. Semmai il segreto del rapporto di dominazione e sottomissione sembra essere in quella particolare “osmosi”, nella “consensualità” tra i due soggetti che concordano lo svolgersi dell’atto BDSM. Più reale è il piacere che prova la donna nel portare a termine ciò che il master le chiede, “tanto più intenso” sarà il piacere per il dominante. “Un vero Dominante ti protegge, ti accudisce, nell’organizzazione dell’appuntamento si occupa tutto lui”, spiega la signora veronese. Alla slave spetta invece il compito di concentrarsi sulla preparazione e il soddisfacimento delle sue richieste che talvolta iniziano parecchi giorni prima. Però niente amore e relazioni romantiche in questo gioco erotico. “Cerco emozioni, non principi azzurri”. La protagonista del servizio su Vanity Fair ne ha anche per la recente impostura cinematografica di Cinquanta sfumature di nero. “Se lei (Anastasia ndr) non accetta la natura di lui (Mr. Grey ndr) non possono stare bene insieme. Ed è assurdo che lui acconsenta a praticare solo il sesso normale per amore, perché il Bdsm è un’espressione dell’Eros: rinnegarla significa rinnegare se stessi”.
Alla base del sentimento di piacere provato dalla protagonista del racconto BDSM sembrano infine esserci presupposti culturali e antropologici tipicamente da provincia italiana. Una famiglia dall’ostentata fede religiosa, il tempo speso solo a guadagnare schei, e le letture di nascosto de L’amante di Lady Chatterley e addirittura di Niente è così sia di Oriana Fallaci. “Da una parte l’erotismo, dall’altra la sofferenza. Fin da piccola ho capito che il mio rapporto di dolore era diverso da quello degli altri”, racconta la schiava. Una ricerca puntuale e continua del dolore per comprenderne limiti e confini: “Poi c’è un picco altissimo, che sembra insopportabile, superato il quale non senti più nulla e anzi stai bene e provi sensazioni fortissime”.