Nelle scorse settimane mi è capitato di visitare una scuola secondaria di secondo grado svizzera. Un’esperienza sconvolgente.

Intanto ad accompagnarmi nel tardo pomeriggio di un giorno festivo è stata una professoressa perché lì tutti i docenti possono entrare a qualsiasi ora del giorno e della notte: con una chiave elettronica l’amica docente ha aperto ogni porta, da quella d’ingresso a quella del laboratorio d’arte a quella della mensa.

La prima tappa è stata l’aula insegnanti: un’accogliente stanza con divani, poltrone, quotidiani, riviste, una bacheca con gli appuntamenti culturali della città e della scuola, un angolo cottura e una scrivania con tanto di personal computer per ogni professore. “Prepariamo qui le nostre lezioni. Questo è un luogo dove possiamo studiare, formarci, scambiarci materiale e informazioni”, mi ha spiegato la collega elvetica.

Per loro c’è anche una mensa gestita insieme a quella dei ragazzi: tavoli e sedie comode, un self service all’avanguardia, un’illuminazione moderna e per chi non vuole spendere c’è una sala con dei forni a disposizione per riscaldare il cibo portato da casa.

Senza parlare del teatro, moderno, attrezzato e dell’elegante emeroteca con inclusa una ludoteca aperta ai ragazzi e gestita da un’addetta che si prodiga per trovare sempre nuove proposte per i giovani studenti. Il tutto in un contesto pensato e progettato non certo dal tecnico comunale o dall’amico del sindaco ma dall’architetto Santiago Calatrava che ha pensato questo spazio in funzione dei ragazzi. Insomma una scuola che nasce per essere uno spazio educativo e non un antico palazzo trasformato in edificio scolastico.

Senza parlare delle aule e del laboratorio d’arte attrezzato come se fosse l’Accademia. Ma la cosa che più mi ha stupito è stata quella di non trovare un cuore, un “Ti amo”, un Marco + Eva o una qualsiasi altra incisione “rupestre” sulle sedie, sopra o sotto il tavolo, sul muro.

Ad un certo punto ho chiesto alla mia amica di portarmi nei bagni. Almeno lì ero certo che avrei trovato una scritta: ho pensato che finalmente liberi dall’oppressione dei docenti svizzeri, nel segreto del cesso, i giovani svizzeri sarebbero stati uguali agli adolescenti italiani. Delusione: non una sola incisione. Nulla.

A quel punto ho iniziato a farmi qualche domanda: perché in Italia dalla scuola “media” alle superiori non c’è un solo banco o cesso senza scritte? Perché i nostri ragazzi non sentono “loro” la scuola dove trascorrono la maggior parte del tempo? Che accadrebbe se anche in Italia ogni insegnante avesse le chiavi per entrare a scuola quando vuole? Perché nel nostro Paese le scuole sono vecchie, insicure, pericolose e a poche centinaia di chilometri da Milano sono progettate da architetti all’avanguardia? Quanto conta la scuola per gli svizzeri e quanto per gli italiani? Eppure noi abbiamo la “Buona Scuola”.

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