Quando Cristiano Lucarelli decise di chiudere il giornale dove lavoravo, il Corriere di Livorno, non sprecò il suo tempo per presentarsi in redazione a dircelo. Mandò una specie di commercialista che gli faceva da specie di braccio destro e credeva di essere un manager ma era solo una specie di galoppino. Molti di noi dovevano avere stipendi arretrati, in qualche caso fino a 6 o 7. Insieme agli arretrati, sparì anche Lucarelli, come Houdini, anzi era già sparito da un pezzo. Non si presentò a un solo incontro di quelli richiesti dai sindacati e dalla politica della mia città, sia pure riluttante perché sempre così attenta a non rovinare troppo i legami vecchi e nuovi. Così Lucarelli se ne fregò degli arretrati che ora invece pretende per i calciatori che allena a Messina, con poco successo come sempre gli è accaduto finora.
Perché vi racconto questa storia? Perché ve la racconto in prima persona, poi, con uno strappo alla regola di buona creanza che prova a rispettare chi fa il cronista? Perché quella di Lucarelli è la perfetta fake news e io mi ci sono ritrovato dentro. Anzi, è una perfetta fake news seriale, perché i giornali continuano a raccontarla sempre allo stesso modo, nonostante sia il modo sbagliato. Cioè dimenticando, rimuovendo pezzi. Per indolenza o per non rovinare la storia “perfetta”. A volte forse lo ha fatto anche questo giornale e forse l’ho fatto io stesso.
Su Lucarelli, invece, l’ha fatto Repubblica, riproponendo la retorica ormai logora del calciatore “comunista mai pentito”, “pecora nera del calcio”, “senza peli sulla lingua”, “mai banale”, “mai cambiato” che manifesta a Messina per i suoi calciatori che non riscuotono. Una storia costruita con il libro che celebrò il suo rifiuto al Torino per restare a Livorno, rinunciando a un miliardo di lire. Tenetevi il miliardo, si intitolò il libro.

Storia bellissima, se fosse credibile: il “comunista mai pentito” l’ha già vissuta quella storia di Messina, ma a parti invertite. Lui era il padrone del giornale che quando la casa ha cominciato a bruciare si è messo al riparo. Padrone, sì, anche se – come ricorda sempre – a un certo punto ha smesso di avere cariche. Ha continuato a tenere lì chi gestiva (male) l’azienda, ha nominato tre direttori, ha più volte minacciato di “tirare giù la saracinesca”, com’era solito dire mimandola con lo stesso pugno chiuso che gli ha dato la celebrità. E infine è lui che ha deciso la chiusura del giornale. Il pronome “lui” va inteso per estensione, nel senso che lì dentro sono compresi i suoi reggicoda, quelli a cui ha delegato i vari rami delle sue aziende. Fu a suo nome che in redazione si presentò lo spicciafaccende usato anche per i suoi affari in porto che – intorno alle 20, mentre stavamo per chiudere l’edizione del giorno dopo – ci comunicava la messa in stato di liquidazione (nel senso che l’avevano già decisa) pur non ricoprendo alcun incarico nell’azienda.
Lucarelli chissà quante volte ce lo aveva detto: “La situazione è questa. Chi non ci vuole stare è libero di andarsene”, concedendoci la possibilità di licenziarci da un posto in cui non ci pagavano. “Se non vi va bene, veniteci voi”, sbottò una volta. “Dimezziamo gli stipendi”, improvvisò un’altra volta. “Ho chiesto se potevamo mettervi in cassa integrazione, ma mi hanno detto che non si può”, si lamentò in un’altra occasione. E poi ci riprovò dicendo che ci avrebbe “autorizzato” ad usare la testata di cui era proprietario, invece di provare a venderla a chi l’editore gli riusciva farlo. I sindacati gli spedirono una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui lo lo invitavano a un tavolo per un confronto sugli stipendi arretrati e sull’eventuale futuro della testata. L’invito non ha mai avuto una risposta. Un paio di volte (o tre, o cinque, o dieci volte, fa differenza?) c’ha provato: il giornale è di una cooperativa, diceva, gestitevelo da soli. Ma appariva strano sentirselo dire dopo. Dopo: quando i bilanci piangevano rosso, le copie scemavano, l’incompetenza di chi aveva deciso di fare impresa aveva lasciato già il suo solco indelebile.
Tra i soci della cooperativa (finti) c’ero anch’io e non partecipai a nessuna riunione per decidere la chiusura del giornale, mentre negli anni precedenti diversi bilanci furono approvati con la mia firma senza che fossi presente a riunioni che si sono rivelate fantasma. Per questo motivo uno dei collaboratori di Lucarelli, presidente della cooperativa, ha patteggiato 6 mesi per falso in scrittura privata in tribunale. Lucarelli fu così indignato da questo comportamento che, dopo che il giornale è chiuso, gli ha trovato un posto di lavoro nell’impresa portuale che ora è male in arnese e con i lavoratori in cassa integrazione.
Nei giorni in cui si celebra Roberto Baggio, è giusto rimettere i personaggi nelle loro categorie, nel calcio e nella vita. Non è vero che si è tutti uguali. Ci sono i fuoriclasse che restano tali fuori dal campo e poi ci sono quelli che danno le pedate al pallone ma sarebbe bene finirla lì.
Probabilmente il mio vecchio datore di lavoro che mostrò la maglietta del Che darà ancora la colpa al giorno in cui gli scioperai contro. Era il dicembre del 2008 e il giornale aveva poco più di un anno: aveva licenziato il primo direttore e l’assemblea di redazione votò all’unanimità l’agitazione. Lucarelli l’imprenditore fece richiamare una serie di colleghi per far uscire il Corriere. “Scioperate contro i vostri posti di lavoro” ci fu detto. Può darsi.
Ma quel direttore licenziato si chiamava Emiliano Liuzzi e aveva tanti, tantissimi difetti, tanto che avevo spesso la tentazione di “odiarlo”, come mi ritrovai a dire quando ci lasciò per sempre in quel suo modo casinista. In quei giorni e poi ancora in quelli a venire, tuttavia, non ho mai avuto dubbi su quale parte fosse quella delle persone perbene.
Diego Pretini
Giornalista
Media & Regime - 19 Febbraio 2017
Cristiano Lucarelli, la fake story del ‘comunista’ che voleva fare l’imprenditore
Quando Cristiano Lucarelli decise di chiudere il giornale dove lavoravo, il Corriere di Livorno, non sprecò il suo tempo per presentarsi in redazione a dircelo. Mandò una specie di commercialista che gli faceva da specie di braccio destro e credeva di essere un manager ma era solo una specie di galoppino. Molti di noi dovevano avere stipendi arretrati, in qualche caso fino a 6 o 7. Insieme agli arretrati, sparì anche Lucarelli, come Houdini, anzi era già sparito da un pezzo. Non si presentò a un solo incontro di quelli richiesti dai sindacati e dalla politica della mia città, sia pure riluttante perché sempre così attenta a non rovinare troppo i legami vecchi e nuovi. Così Lucarelli se ne fregò degli arretrati che ora invece pretende per i calciatori che allena a Messina, con poco successo come sempre gli è accaduto finora.
Perché vi racconto questa storia? Perché ve la racconto in prima persona, poi, con uno strappo alla regola di buona creanza che prova a rispettare chi fa il cronista? Perché quella di Lucarelli è la perfetta fake news e io mi ci sono ritrovato dentro. Anzi, è una perfetta fake news seriale, perché i giornali continuano a raccontarla sempre allo stesso modo, nonostante sia il modo sbagliato. Cioè dimenticando, rimuovendo pezzi. Per indolenza o per non rovinare la storia “perfetta”. A volte forse lo ha fatto anche questo giornale e forse l’ho fatto io stesso.
Su Lucarelli, invece, l’ha fatto Repubblica, riproponendo la retorica ormai logora del calciatore “comunista mai pentito”, “pecora nera del calcio”, “senza peli sulla lingua”, “mai banale”, “mai cambiato” che manifesta a Messina per i suoi calciatori che non riscuotono. Una storia costruita con il libro che celebrò il suo rifiuto al Torino per restare a Livorno, rinunciando a un miliardo di lire. Tenetevi il miliardo, si intitolò il libro.
Storia bellissima, se fosse credibile: il “comunista mai pentito” l’ha già vissuta quella storia di Messina, ma a parti invertite. Lui era il padrone del giornale che quando la casa ha cominciato a bruciare si è messo al riparo. Padrone, sì, anche se – come ricorda sempre – a un certo punto ha smesso di avere cariche. Ha continuato a tenere lì chi gestiva (male) l’azienda, ha nominato tre direttori, ha più volte minacciato di “tirare giù la saracinesca”, com’era solito dire mimandola con lo stesso pugno chiuso che gli ha dato la celebrità. E infine è lui che ha deciso la chiusura del giornale. Il pronome “lui” va inteso per estensione, nel senso che lì dentro sono compresi i suoi reggicoda, quelli a cui ha delegato i vari rami delle sue aziende. Fu a suo nome che in redazione si presentò lo spicciafaccende usato anche per i suoi affari in porto che – intorno alle 20, mentre stavamo per chiudere l’edizione del giorno dopo – ci comunicava la messa in stato di liquidazione (nel senso che l’avevano già decisa) pur non ricoprendo alcun incarico nell’azienda.
Lucarelli chissà quante volte ce lo aveva detto: “La situazione è questa. Chi non ci vuole stare è libero di andarsene”, concedendoci la possibilità di licenziarci da un posto in cui non ci pagavano. “Se non vi va bene, veniteci voi”, sbottò una volta. “Dimezziamo gli stipendi”, improvvisò un’altra volta. “Ho chiesto se potevamo mettervi in cassa integrazione, ma mi hanno detto che non si può”, si lamentò in un’altra occasione. E poi ci riprovò dicendo che ci avrebbe “autorizzato” ad usare la testata di cui era proprietario, invece di provare a venderla a chi l’editore gli riusciva farlo. I sindacati gli spedirono una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui lo lo invitavano a un tavolo per un confronto sugli stipendi arretrati e sull’eventuale futuro della testata. L’invito non ha mai avuto una risposta. Un paio di volte (o tre, o cinque, o dieci volte, fa differenza?) c’ha provato: il giornale è di una cooperativa, diceva, gestitevelo da soli. Ma appariva strano sentirselo dire dopo. Dopo: quando i bilanci piangevano rosso, le copie scemavano, l’incompetenza di chi aveva deciso di fare impresa aveva lasciato già il suo solco indelebile.
Tra i soci della cooperativa (finti) c’ero anch’io e non partecipai a nessuna riunione per decidere la chiusura del giornale, mentre negli anni precedenti diversi bilanci furono approvati con la mia firma senza che fossi presente a riunioni che si sono rivelate fantasma. Per questo motivo uno dei collaboratori di Lucarelli, presidente della cooperativa, ha patteggiato 6 mesi per falso in scrittura privata in tribunale. Lucarelli fu così indignato da questo comportamento che, dopo che il giornale è chiuso, gli ha trovato un posto di lavoro nell’impresa portuale che ora è male in arnese e con i lavoratori in cassa integrazione.
Nei giorni in cui si celebra Roberto Baggio, è giusto rimettere i personaggi nelle loro categorie, nel calcio e nella vita. Non è vero che si è tutti uguali. Ci sono i fuoriclasse che restano tali fuori dal campo e poi ci sono quelli che danno le pedate al pallone ma sarebbe bene finirla lì.
Probabilmente il mio vecchio datore di lavoro che mostrò la maglietta del Che darà ancora la colpa al giorno in cui gli scioperai contro. Era il dicembre del 2008 e il giornale aveva poco più di un anno: aveva licenziato il primo direttore e l’assemblea di redazione votò all’unanimità l’agitazione. Lucarelli l’imprenditore fece richiamare una serie di colleghi per far uscire il Corriere. “Scioperate contro i vostri posti di lavoro” ci fu detto. Può darsi.
Ma quel direttore licenziato si chiamava Emiliano Liuzzi e aveva tanti, tantissimi difetti, tanto che avevo spesso la tentazione di “odiarlo”, come mi ritrovai a dire quando ci lasciò per sempre in quel suo modo casinista. In quei giorni e poi ancora in quelli a venire, tuttavia, non ho mai avuto dubbi su quale parte fosse quella delle persone perbene.
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Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "Il nostro governo ha scelto di realizzare i termovalorizzatori con risorse pubbliche, stanziando 800 milioni di euro attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Questo per evitare che il costo di ammortamento potesse ricadere sui cittadini attraverso tariffe esorbitanti. Noi vogliamo evitare questo errore e garantire un sistema sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non solo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani. "I termovalorizzatori rappresentano una grande opportunità anche per il nostro sistema energetico- dice -In un periodo storico in cui i costi dell’energia sono sempre più elevati e la transizione ecologica è una priorità globale, trasformare i rifiuti in energia significa rendere la Sicilia più autonoma, ridurre la dipendenza da fonti fossili e creare un sistema. Il nostro cronoprogramma: entro questo marzo/aprile bando per progettazione; entro settembre 2026 inizio lavori (durata diciotto mesi). La Sicilia non può più permettersi di rimanere prigioniera dell’emergenza, della precarietà, dell’inerzia. È il momento di agire con coraggio e senso del dovere".
"Chi si oppone abbia almeno l’onestà di dire chiaramente perché e di assumersi la responsabilità di condannare questa terra al degrado e all’inefficienza- dice Schifani - Non possiamo accettare che il futuro della Sicilia venga bloccato da interessi di parte, da vecchie logiche a volte ambigue. Non possiamo più tollerare un sistema che penalizza i cittadini, le imprese e l’ambiente. La nostra Regione merita di voltare pagina. Merita un futuro fatto di pulizia, decoro e sostenibilità. Noi andremo avanti, con determinazione e con la convinzione che questa sia l’unica strada possibile. Anche se in salita. In tutti i sensi. Perché la Sicilia merita di più".
Palermo,9 mar. (Adnkronos) - "Perché, dopo vent’anni di dibattiti e promesse mancate, ancora oggi qualcuno si oppone alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione? L’esperienza europea dimostra che questi impianti sono una soluzione efficiente e sicura per chiudere il ciclo dei rifiuti, trasformando ciò che non può essere riciclato in energia pulita. Eppure, in Sicilia si è continuato a rinviare, mentre le discariche si riempiono e i cittadini pagano bollette sempre più alte per smaltire i rifiuti altrove. È davvero un problema di tutela ambientale? No, perché i moderni termovalorizzatori sono progettati per garantire emissioni praticamente nulle, rispettando i più severi standard europei". Così il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in un intervento sul Giornale di Sicilia. "Parlare di inquinamento è oggi fuori luogo: in molte città del Nord Italia, in Europa e nel mondo, questi impianti convivono con i centri abitati senza alcun impatto sulla qualità dell’aria", dice.
"Forse si vuole difendere il business delle discariche? È un dubbio legittimo. Il sistema attuale, infatti, ha spesso alimentato interessi economici poco trasparenti, in alcuni casi perfino legati alla criminalità organizzata. E di questo ho parlato in occasione della mia audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie", conclude Schifani.
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "La Sicilia, purtroppo, vive da decenni un’emergenza che sembra diventata strutturale. Il mio governo ha individuato fin dalla campagna elettorale questo come un obiettivo primario, consapevole che la gestione dei rifiuti non è solo un problema ambientale, ma anche sociale ed economico. Abbiamo ereditato una situazione di stallo, con un sistema fondato su discariche ormai al collasso, senza un’efficace pianificazione e con una raccolta differenziata ancora insufficiente. E soprattutto, mancava uno strumento fondamentale: il Piano rifiuti, indispensabile per poter programmare e realizzare qualsiasi intervento strutturale. Lo abbiamo speditamente adottato nel novembre scorso, dopo un grande lavoro di squadra che ha coinvolto vari organi istituzionali preposti al ramo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia, il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani,.
"Sapevamo che sarebbe stato un percorso difficile, sia dal punto di vista normativo che politico- prosegue - E a volte avvertiamo una condizione di solitudine, nel dover difendere un’idea di sviluppo che dovrebbe essere patrimonio comune, ma che invece incontra resistenze incomprensibili e a volte ambigue. Non cori da stadio, ma silenzi a volte trasversali e imbarazzanti".
"Non è un caso che il tema dei termovalorizzatori in Sicilia sia presente nel dibattito pubblico da oltre vent’anni, senza mai trovare una concreta soluzione- aggiunge Schifani - In tutto questo tempo, mentre in altre regioni italiane e in Europa si realizzavano impianti di ultima generazione per trasformare i rifiuti in energia, in Sicilia si continuava a rinviare, accumulando ritardi su ritardi e lasciando che il problema si aggravasse. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: città invase dai rifiuti, discariche sature, costi di smaltimento sempre più elevati e una dipendenza dall’estero per l’invio della spazzatura che pesa sulle tasche dei cittadini siciliani per oltre cento milioni all'anno". "Ciò che trovo più preoccupante è la rassegnazione diffusa tra i siciliani. Dopo decenni di annunci e promesse mancate, molti ormai non credono più che il cambiamento sia possibile. Ma io dico che questa volta è diverso. Questa volta il governo regionale ha fatto una scelta chiara e irreversibile: realizzare gli impianti e dare finalmente alla Sicilia una gestione moderna ed efficiente dei rifiuti. E per questo obiettivo dedico due pomeriggi al mese per monitorare di persona il percorso, spesso complesso ma che ci sforziamo di velocizzare. Per non parlare dei numerosi ricorsi presentati contro il mio piano per bloccare il tutto. A questi ci opporremo con fermezza e competenza".
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - I vigili del fuoco del Comando provinciale di Palermo resteranno per tutta la notte tra via Quintino Sella e via Gaetano Daita per tenere sotto controllo l'edificio in cui ieri mattina si è propagato un vasto incendio che ha distrutto l'appartamento all'ultimo piano dell'ex sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, e della moglie, l'ex magistrato Annamaria Palma. I due sono riusciti a mettersi in salvo, tutti i residenti sono stati evacuati, un uomo di 80 anni è rimasto intossicato. "Le fiamme sono state circoscritte e non si propagano più. Sono in corso adesso le operazioni di bonifica che consistono nello smassamento della parte combusta e nello spegnimento dei focolai residui. Per tutta la notte sul posto sarà effettuato un servizio di vigilanza antincendio", ha spiegato in serata all'Adnkronos Agatino Carrolo, direttore regionale dei vigili del fuoco della Sicilia, da ieri mattina sul luogo del rogo.
"Abbiamo dovuto tagliare il tetto con le motoseghe. I miei uomini hanno lavorato a 25 metri su un piano inclinato di 30 gradi e abbiamo lavorato con la dovuta cautela. Tagliato il tetto si impedisce alle fiamme di propagarsi. Quindi rimangono da effettuare le operazioni di bonifica, di rimozione del materiale combusto e laddove ci sono dei focolai residui spegnerli. Oltre a questo si prevede di effettuare un'operazione di vigilanza antincendio ceh consiste in un presidio fisico a vigilare lo stato dei luoghi fino a quando non ci sarà più bisogno", ha detto.
E ha aggiunto: "Ci siamo trovati ad operare ad un altezza di 25 metri dal piano di calpestio. Dobbiamo spegnere un incendio importante di un tetto di circa 400 mq di falde e le fiamme sono particolarmente insidiose perché questa combustione è caratterizzata dal cosiddetto fuoco covante ossia una combustione in condizione di sotto ossigenazione che corre nello spazio di ventilazione del tetto. Quindi in superficie non si vede nulla ma ad un certo punto le fiamme affiorano dove è possibile".
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Non c’è molto da dire, se non che mi vergogno e che mi dispiace molto. Il Pd è germogliato dalle tradizioni più alte e più nobili della storia politica del Paese. Ha nel suo dna l’europeismo. Ed è di tutta evidenza che non può essere questo il nostro posizionamento". Lo scrive sui social Pina Picierno rispondendo alle proteste sui social per il post del Pd sulla questione del piano di Difesa Ue in cui si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Matteo Salvini.
"Mi vergogno, infatti. E sono allibita", aggiunge la vice presidente del Parlamento europeo.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Ma vi siete bevuti il cervello Elly Schlein? Vi mettete a scimiottare Salvini. I riformisti sono vivi? Hanno qualcosa da dire? Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini certificate la vostra esistenza in vita al netto di Pina Picierno e Filippo Sensi". Lo scrive sui social Carlo Calenda, rilanciando un post del Partito democratico sulla questione del piano di Difesa Ue in cui tra l'altro si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Salvini.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "In Italia si aggira un tizio - si chiama Andrea Stroppa - che rappresenta gli interessi miliardari e le intrusioni pericolose di Elon Musk. Dopo avere espresso avvertimenti vagamente minatori e interferito sull’attività di governo, questo Stroppa ha insultato due giornalisti, Fabrizio Roncone e la moglie Federica Serra, con il metodo tipico dell’intimidazione". Lo dice il senatore del Pd Walter Verini.
"Esprimiamo solidarietà ai due giornalisti. E ci chiediamo anche cosa aspetti Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di questo Paese, a far sentire la sua voce contro queste ingerenze, questi attacchi, questi tentativi di intimidazione a giornalisti e giornali”, aggiunge il capogruppo Pd in Antimafia.