Come se non fosse successo nulla. Come non ci fosse stato l’allegro balletto del Consorzio Venezia Nuova attorno al Mose, opera da cinque miliardi e mezzo di euro. Come non ci fossero state le accuse di corruzione ai manager delle società che fanno parte della compagine che negli ultimi quindici anni si è spartita i finanziamenti pubblici. Come non ci fosse il commissariamento deciso per bonificare la situazione all’indomani dello scandalo che nel 2014 ha portato in carcere politici, uomini degli apparati dello Stato, tecnici e portaborse. Le imprese del Consorzio Venezia Nuova chiedono di tornare all’assegnazione diretta dei lavori. Senza gare di appalto. Senza bandi. Senza offerte e ribassi. Ovvero a quel sistema che ha consentito il proliferare del malaffare, per il semplice fatto che non esistevano controlli sulle opere e sui costi, anche perché i vertici del Magistrato alla Acque dell’epoca erano, secondo i corposi capi d’accusa formulati dalla Procura di Venezia, a libro-paga del Consorzio.
In questo tentativo di far tornare indietro la macchina del tempo, le imprese interessate hanno scritto un “Atto di contestazione di inadempimento e intimidazione”. Il mittente è il Covela del gruppo Mantovani, di cui è presidente Romeo Chiarotto, titolare del gruppo stesso. Lo ha fatto per conto anche dei consorzi Italvenezia e San Marco, nonché di Astaldi e Itinera. I destinatari sono i tre commissari Luigi Magistro, Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo, nonché il provveditore interregionale Roberto Linetti (che ha assunto le funzioni dell’ex Magistrato alle Acque), il presidente dell’Anac, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone e il prefetto di Roma Paola Basilone, a cui fa riferimento l’amministrazione straodinaria del Consorzio.
La lettera-diffida ricorda che nel 2015 il piano di riparto affidava alle imprese del Cvn lavori per 192 milioni di euro, ma finora ne sarebbero stati assegnati molto meno, circa una novantina. E così le imprese chiedono il rispetto degli impegni presi due anni fa. “E’ una situazione inaccettabile, illegittima, illecita e gravemente lesiva dei nostri diritti”. A sostegno della sua tesi, Chiarotto cita lo statuto del Consorzio che affidava i lavori pro quota-parte alle imprese consorziate. E cita anche le conclusioni dell’istruttoria europea che una decina di anni fa mise in mora l’Italia per la mancanza di gare pubbliche, salvo poi stabilire che per una serie di interventi andava garantita la continuità ai consorziati, anche perché la responsabilità sul funzionamento dell’opera dev’essere a carico loro. “L’Unione europea – scrive Chiarotto – ha definitivamente escluso che si potesse ricorrere a imprese terze, se non per il subappalto di opere altamente specialistiche per le quali non esistsessero i requisiti tra le imprese consorziate”.
Allora la Ue cercò di contemperare una parziale assegnazione diretta con l’obbligo a mettere in gara opere per almeno 720 milioni di euro (obiettivo non ancora raggiunto). Ma se gli appalti tornano ad essere assegnati con il vecchio modus operandi a cui fa riferimento Chiarotto, si riprodurrebbe il meccanismo che tanti guasti ha causato, fino alle aule del Tribunale penale. E proprio l’Anac, con il commissariamento del Consorzio, voleva porre fine a quel sistema. Anzi, nel 2015 aveva commissariato anche la società Comar, sostenendo che dal 2002 era il braccio operativo del Consorzio per consentire il controllo nell’assegnazione degli appalti. Dopo l’arrivo in autunno a Venezia del nuovo provveditore Linetti, l’ex Magistrato e i commissari avevano progettato di aumentare ancora le quote di lavori da assegnare con gara. Anche per questo Mantovani, Astaldi e Itinera sono uscite alla scoperto.
E’ uno scontro che avviene nello scenario di un commissariamento che le aziende non hanno digerito affatto, perché ha tagliato la catena di potere che orchestrava i grandi affari legati alle paratie mobili che dovrebbero salvare Venezia dalle acque alte. Ma gli arresti hanno costretto le imprese del Cvn a mandare giù il rospo. Adesso, tre anni dopo, cercano di riprendersi parte di quello che hanno perso. Nel Mose del dopo-scandalo ci sono ancora tanti soldi presenti e futuri (ad esempio al gestione del sistema) ed è proprio sulla questione economica che si annunciano gli scontri più aspri. I commissari hanno deciso da tempo di far causa alle imprese coinvolte nelle inchieste per ottenere un risarcimento di almeno 27 milioni di euro, per inadempienze e pagamenti “in nero”. Si tratta di 18 soggetti diversi, tra cui Mantovani e Condotte. La Procura veneziana ha chiuso da poco il filone di indagine relativo alla vicenda Mose che vede coinvolte direttamente otto imprese (e non le persone fisiche) che hanno lavorato alle barriere mobili o alle opere accessorie per non aver controllato i loro manager che pagavano tangenti per sostenere l’opera a livello politico.
Intanto il processo che si sta svolgendo a Venezia entra in una settimana cruciale. Giovedì l’interrogatorio di due imputati eccellenti, l’ex ministro Altero Matteoli e l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. E nel dibattimento fanno irruzione le agende di Giovanni Mazzacurati. Erano in un magazzino del Consorzio, dentro uno scatolone. Contengono le annotazioni di tutti gli appuntamenti dell’ingegnere, già presidente del Cvn e grande regista della corruzione. I pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, ma anche gli avvocati difensori vi cercano conferme o smentite di incontri e frequentazioni in odore di tangenti.