Aveva rifiutato un trasferimento con procedura straordinaria alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo perché sarebbe stata “una resa”. Ma oggi per Nino Di Matteo è arrivato, finalmente, il primo via libera ‘ordinario’ dal Csm. Il pm di Palermo è pubblica accusa nel processo sulla Trattativa ed è oggetto in continuazione di minacce di morte: quelle di Matteo Messina Denaro sono arrivate in una lettera e quelle di Totò Riina mentre era intercettato in carcere. Ultima in ordine di tempo quella di un presunto mafioso, che al telefono vietava alla figlia di andare al circolo tennis frequentato da Di Matteo e affermava: “Quello lo devono ammazzare”.
Il Consiglio superiore della magistratura ha dato il via libera al suo trasferimento alla Superprocura guidata da Franco Roberti per uno dei cinque posti di sostituto liberi in quell’ufficio. Un sogno inseguito da tempo dal pm, che due anni fa si era visto invece bocciare a sorpresa la sua candidatura da Palazzo dei marescialli, a vantaggio di altri tre colleghi. Ora quella ferita, vissuta da Di Matteo come “un’ingiusta mortificazione” di cui aveva chiesto giustizia con un ricorso al Tar del Lazio, si rimargina. L’unanimità che c’è stata in III Commissione sul suo nome (così come su quelli dei sostituti romani Francesco Polino, Barbara Sargenti e Maria Cristina Palaia e del pm napoletano Michele Del Prete) fa ritenere pacifico l’ultimo via libera da parte del plenum del Csm, in calendario non prima di metà marzo.
Si tratta di un risarcimento pieno, considerato che tra i concorrenti c’erano candidati di spessore, come i pm del processo Mafia capitale Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, l’ex assessore alla Legalità del Comune di Roma ora sostituto a Napoli Alfonso Sabella, il pm romano e segretario dell’Anm Francesco Minisci e il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato. E visto che la Commissione, nel compiere la sua scelta “non semplice”, ha anche “tenuto conto delle indicazioni del procuratore Roberti”, come spiega la presidente Elisabetta Casellati (Forza Italia). L’allarme sicurezza per il magistrato è alto da anni tanto che per il pm era stato deciso l’utilizzo di un jammer. Nel 2014 Totò Riina, intercettato in carcere, disse di volere per lui “la fine del tonno”. Un rancore covato da tempo nei confronti del magistrato, che è stato titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Antonino Saetta, costata al boss di Corleone la prima condanna all’ergastolo. Più recenti le dichiarazioni di Vito Galatolo sull’acquisto di un carico di tritolo da usare per un attentato a Di Matteo.