Nel consiglio regionale pugliese saranno in pochi coloro che non seguiranno il governatore in caso di addio al Partito democratico. In Regione, del resto, il suo è un consenso a prova di strappi. Quasi tutti, però, sono convinti che alla fine l'ex sindaco di Bari resterà al suo posto. E anche se dovesse andar via, la sa maggioranza non avrebbe alcun tipo di conseguenza. "Male che vada nascerà un nuovo gruppo consiliare, ma sempre a supporto dell'ex pm" dicono in via Capruzzi
“È meglio darsi una mossa ad approvare le leggi, per ora abbiamo i numeri, ma poi…”. Si ironizza nei corridoi del Consiglio regionale pugliese, dove la maggioranza torna a riunirsi dopo le fibrillazioni romane. “Ma sì – dicono – nessuno qui crede che Michele Emiliano lascerà davvero il partito”. Eppure proprio qui, in Puglia, c’è un gran lavorio. Perché se le dichiarazioni ufficiali sono del calibro “Emiliano non se ne va mica in Forza Italia“, per i cosiddetti pontieri, i tessitori di rapporti e di ricuciture tra Bari e Roma, sono ore febbrili. “Io sono uno di quelli” confessa Marco Lacarra, politicamente da sempre vicino ad Emiliano ma che, in caso di scissione, non lo seguirebbe nella nuova casa (“Sono segretario, mica posso portare il simbolo in giro” dice).
Mercoledì si riunirà d’urgenza la segreteria pugliese, al più tardi lunedì la direzione. L’obiettivo è fare il punto della situazione e, azzarda qualcuno, contarsi. Ma soprattutto mettere a punto un documento che chieda ufficialmente al governatore di restare in casa Pd. Ma potrebbe essere inutile perché, è convinto più di qualcuno, il tornado rientrerà e il tempo tornerà “a volgere al bello”. E non sarebbe l’unico modo attraverso il quale i pugliesi tentano di convincere Michele Emiliano a fare il definitivo passo indietro: anche i sindaci e gli amministratori starebbero raccogliendo le firme per suggellare con una petizione la richiesta all’ex segretario regionale del partito di restare lì dov’è.
“Emiliano è il fondatore del Pd pugliese, ne è stato il primo segretario, è inimmaginabile che lui vada via. Per una questione di consenso – spiega ancora Lacarra – ma anche per una questione di identità“. Ma il presidente della Regione è davvero intenzionato a chiudersi la porta del partito alle spalle? “Ma si, eccome se lo farebbe”, sentenzia certo Ernesto Abaterusso, consigliere regionale e dalemiano di ferro. “Io guardo i fatti. Emiliano ha sollecitato Renzi a farsi carico di mantenere l’unità, ma lui non gli ha nemmeno risposto. In più, se Renzi pensa di fare un congresso con le figurine non si può stare insieme”. E in tal caso ci avvertirebbero scosse telluriche in Regione? “Non credo, si può essere consiglieri regionali senza seguire Emiliano ma sostenendolo ugualmente. Non ci saranno azioni di rivalsa da parte di chi rimarrà”. Ma sarà così ovunque, in Puglia? “Beh, a Lecce ci sono parlamentari renziani. Ma la loro influenza è limitata a Roma – affonda Abaterusso – qui non hanno forza d’urto. Al congresso di tre anni fa sono stati sconfitti”.
Se Abaterusso sarebbe pronto ad andare altrove, Fabiano Amati, consigliere regionale, tra i fondatori del partito, non si muoverebbe da lì. “Sarò quello che spegnerà la luce del Pd” chiarisce. “Almeno in questo partito c’è dibattito, altrove no. E se dovesse prevalere la scissione, al massimo qui in Puglia nascerà un nuovo gruppo regionale. Ma niente di più”. Molti democratici di primo pelo, in queste ore preferiscono stare a guardare. Dichiarazioni ufficiali nemmeno a parlarne ma ragionamenti se ne fanno. “Se Emiliano se ne andrà, molti lo seguiranno. Qui il suo consenso è alle stelle, Renzi ne ha pochissimo. Se ci fossero primarie interne, in Puglia Michele farebbe il pienone, soprattutto tra i consiglieri regionali e rispettivo elettorato. L’unico effetto di una eventuale scissione lo si vivrebbe in via Capruzzi, nel palazzo del Consiglio regionale dove nascerebbe un nuovo gruppo. Ma nulla di più”.
Quindi nessun rischio per la sua maggioranza? “Al momento è difficile immaginarne”. I conti sono presto fatti: Emiliano può contare su 29 consiglieri di maggioranza, di questi – oltre ai sette di Noi a Sinistra e Popolari – nove sono stati eletti nelle sue liste e 13 nel Pd. Ma sono solo un paio i democratici che non lo seguirebbero nel nuovo gruppo. Certo è che per convincere Emiliano a fare un passo indietro, in assenza di un corrispettivo in avanti da parte di Renzi, è necessario che vi sia qualcosa di forte. “Capisce perché l’idea della petizione o del documento? Glielo chiediamo noi – spiegano – non può non farlo”. Qualsiasi cosa accada, comunque, “continueremo ad essere una maggioranza” sentenzia con sicurezza Marco Lacarra che, pur non uscendo nel partito, non lesina rimproveri a Renzi. “Avrei voluto una replica da parte del segretario nazionale – ammette – Avrei voluto una ulteriore apertura, forse non sarebbe stato sufficiente ma sarebbe stato certamente meglio. A volte mi rivedo nella lacerazione del centrodestra di 12 anni fa, o in quella tra Berlusconi e Fitto. Io sto lavorando perché non accada, perché Emiliano faccia un passo indietro. Lo conosco, sono certo che lo farà”.