Che Matteo Renzi sia abile non ci sono dubbi. Trova le parole giuste, attacca, argomenta: “Avete il diritto di sconfiggerci, non di eliminarci”. Ci sono stati momenti forti e interessanti, domenica, nell’Assemblea nazionale del Pd. Aver solo pensato di chiedere a Renzi di non candidarsi al Congresso è stato un errore; averlo detto: un’ingenuità. La battuta di Bellanova, sindacalista dei lavoratori agricoli, è formidabile: “Non è che si può dire al portiere, togliti altrimenti io non segno”. L’ex segretario è pronto a riprendersi il Pd nel Congresso che – come da statuto – si chiuderà entro quattro mesi. La linea è tracciata e ruota intorno alla parola indicata, subito, come fondamentale: rispetto. Renzi esige rispetto: delle regole, del partito, della democrazia interna, dei militanti che chiedono unità. Anche Veltroni, applauditissimo, s’è mosso nella stessa direzione: “E’ sbagliato e mi angoscia quanto sta accadendo”. Ha ricordato, con richiami storici, come la sinistra “quando s’è divisa ha fatto il male di se stessa e del Paese”. Giusto e apprezzabile. Senonché, come sempre, le parole hanno una doppia chiave di lettura.

Non si tratta, qui, con Epifani, d’evidenziare gli errori di Renzi sulla scuola, il Jobs act, eccetera. I fatti son noti, ed era evidente – già prima del fuorionda di Delrio – che l’ex segretario non lavorasse (al di là della finzione politica) per l’unità. Ciò che stupisce – se si è attenti alla logica e al senso delle parole – è proprio l’uso del termine rispetto. Qui davvero siamo alle ragioni personali del conflitto: di politico s’è visto poco nello scontro di caratteri interno al Pd. Ipocrisia. Maschera. Teatro dell’inganno. Non saprei definire diversamente l’uso renziano della parola rispetto: pronunciata da lui suonava terribilmente falsa.

Senza farla lunga, qualche esempio per riportare i concetti a un confronto coi fatti. Ha rispettato, Renzi, il mondo del lavoro quando denigrava i sindacati? Quando favoriva, da sinistra, i piani di Marchionne e Confindustria? Ha rispettato Letta (“Enrico-stai-sereno”) quando l’ha pugnalato? Ha rispettato i valori del Pd alleandosi con Berlusconi e Verdini? Mi fermo perché l’elenco è lungo e urge parlare di fatti più recenti. Non ci sono certezze, solo indizi: Tiziano Renzi, padre di Matteo, è indagato per l’affare Consip. E’ anche colpevole? Lo deciderà la magistratura. Certo è che il suo nome circola – da tempo – nel corso di un’indagine che riguarda l’appalto più grande d’Europa: 2.700.000.000 di euro. Solo indizi. Vero. Eppure: Matteo Renzi – che nell’Assemblea mostra la sua forza; che con astuzia muove, come pochi, i pezzi sulla scacchiera politica (non sfugga la cinica freddezza con cui ha liquidato l’appello di Emiliano) – ecco: Matteo Renzi, stratega, può essere nello stesso tempo uno che ignora quel che fa babbo suo? Non abbiamo certezze, solo indizi, ma riguardano un appalto miliardario. E’ lecito dire che siamo preoccupati? Soprattutto: che il rispetto, per l’opinione pubblica, esige una parola del figlio sul comportamento di papà: Matteo ha mai parlato con Tiziano dei fatti di cui si occupa la magistratura?

C’è sempre una differenza tra i discorsi teorici di un segretario nell’Assemblea di partito, e i fatti – nudi e crudi – di cui si occupa direttamente (non solo le nomine Rai) o per interposta persona. C’è bisogno di chiarezza. Sempre. Soprattutto oggi che il Pd è imploso per ragioni poco ideali. Comunque si chiuda la vicenda del Congresso, i cittadini – ormai da qualche anno – attendono i politici sui fatti: da questi giudicano il rispetto (dei programmi, dei valori, dei principi…). Non bastano più le parole.

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