Raffaele Sollecito è un’icona della forma pop della giustizia dei nostri tempi. Filosoficamente potrebbe essere un novello Wile E. Coyote. Un personaggio, al contempo, protagonista e vittima di se stesso. Accusato del terribile omicidio di Meredith Kerker, poi assolto, ha dovuto subìre anni di carcere ingiusto. Una vita rovinata. Poi, una volta detta la parola “fine” sulla vicenda e dichiarato innocente, si è trovato immerso in una nuova maschera pop, in un ennesimo fumetto di se stesso. Ha chiesto il risarcimento per l’ingiusta detenzione e questo gli è stato negato.
All’apparenza la cosa fa scandalo, fa pensare a una giustizia ingiusta e crudele. In realtà, se Raffaele non si fosse comportato come il personaggio della Warner Bros, ferito ma invincibile, vittima del suo desiderio di riscatto, forse avrebbe potuto immaginare un esito infausto della sua richiesta di riparazione per gli anni trascorsi (ingiustamente) in carcere. La magistratura, prima di accordare l’indennizzo, bada non solamente all’esito processuale, ma anche al complesso di comportamenti del richiedente, dentro e fuori il processo. Non è più sufficiente la sola mancanza di prova, quella che ha condotto all’assoluzione. Tutta la fase definita “dell’esecuzione” (ed il risarcimento per ingiusta detenzione in parte lo è) è costruita in questo diverso senso giuridico. Il “curriculum” per ottenere il ristoro economico non è lo stesso necessario per far trionfare la prova d’innocenza.
Nel processo l’accusato può difendersi come vuole, anche mentendo. Se viene assolto ed ha subìto la carcerazione, l’accertata innocenza non prevede l’automaticità del risarcimento. Probabilmente il giovane ragazzo di Bari è stato accostato troppo alla sua Lady Macbeth, Amanda Knox e ciò, ancora una volta, non ha giovato a Raffaele neppure sul fronte dell’indennizzo sperato (e meritato). E’ la dimostrazione che la giustizia pop “mangia” i suoi stessi protagonisti che, poi, si trovano a divenire dei fumetti e perdere il contatto con la realtà giuridica.
L’innocente Raffaele, dapprima merce pop della vicenda in qualità di figura luciferina, accostato alla bella e spregiudicata Amanda, tanto pop da essere osannata come eroina da romanzo, ha alienato se stesso in questa trasformazione del suo dramma in un prodotto da vendere da parte della versione mediatica del capitalismo. Raffaele ha convissuto in questo dualismo shakespiriano per anni: da un lato imputato, vittima della giustizia e riscattato dall’assoluzione. Dall’altro fumetto, poster, merce da vendere, disvalore e valore da trasformare in cosa, persona reificata e prodotto di se stesso.
La sua condizione (tragica) di merce da vendere nel supermercato della giustizia pop ha causato il diniego del risarcimento. Facendo tornare Raffaele vittima. Ma, paradossalmente, ancora un po’ oggetto di mercato e ciò perché può giocare il ruolo del Calimero e continuare ad alimentare il fumetto pop in cui vengono mercificati i valori e le persone protagoniste dell’ennesimo capitolo del “libro giallo”.
Raffaele avrebbe preteso che lo Stato lo risarcisse. L’apparato giudiziario ha negato tutto. L’immagine pop della coppia Raffaele-Amanda, un po’ innocenti, un po’ beffardi, ha fatto scattare nella giustizia la sua anima più beghina ed ecumenica. Raffaele: per essere pop bisogna saper essere come Wile E. Coyote: non chiedere di vincere, semplicemente diventare personaggio. A costo di imbattersi sempre in Bip Bip che, all’ultimo divengono sfuggenti, proprio quando si credeva di averli afferrati: la giustizia, Amanda.