Spesso ce ne dimentichiamo, ma per ogni figlio che parte c’è chi rimane. E i genitori come reagiscono a questa separazione? Come ritrovano il loro equilibrio familiare? Brunella Rallo, sociologa e mamma di due cervelli in fuga negli Stati Uniti, di storie come la sua ne aveva ascoltate tante: dalle amiche, dai parenti, dai vicini. “La partenza di un figlio monopolizza gli argomenti di conversazione. In un certo senso sembra di tornare a quando si era neogenitori e tutta l’attenzione era riservata al bambino”, racconta. Pisolini e pannolini vengono sostituiti da fusi orari ed elezioni politiche: “C’è un reale interesse per quello che accade nel Paese in cui vivono i nostri figli che ci porta a tenerci sempre aggiornati”, spiega.

Così si è detta: perché non raccogliere tutte queste esperienze in un blog? Nasce così mammedicervellinfuga: “Ho capito che serviva una comunità in cui i genitori potessero scambiarsi idee, opinioni e stati d’animo”, spiega. E dopo un periodo iniziale di rodaggio, il sito ha raggiunto il suo obiettivo iniziale: “Nei primi mesi gli utenti si limitavano a reagire ai post e a fare qualche piccolo commento – sottolinea -, mentre ultimamente molti di loro propongono argomenti da affrontare e vogliono raccontare in prima persona la loro esperienza”. Mammedicervellinfuga è diventata così una comunità virtuale a tutti gli effetti: “Il nostro blog fa capire alle persone che non sono sole, che ci sono tante famiglie nelle loro stesse condizioni”.

“Alcune madri cercano anche compagne e compagni di viaggio per le trasferte, che siano in Australia o a Francoforte”

Così tra una “cassetta degli attrezzi” – divertente manuale di sopravvivenza per mamme di expat – e una vignetta, c’è spazio anche per fare amicizia: “Ci chiedono aiuto e collaborazione diretta per organizzare i loro viaggi all’estero – spiega – e alcune madri cercano anche compagne e compagni di viaggio per le trasferte, che siano in Australia o a Francoforte”. La tecnologia è un prezioso alleato, certo, ma a volte non basta. Così le famiglie quando possono prendono un aereo e vanno a trovare i figli: “In fondo tutto questo ha dei lati positivi anche per noi – continua – ci spinge a imparare la lingua del posto, a viaggiare, a conoscere gente nuova”.

25-ma-le-raccomandazioni-1-1Ma possibile che non ci sia alcun rancore verso l’Italia per non aver fornito ai loro figli il pretesto per restare? “Stando alla nostra esperienza assolutamente no – ammette -, il sentimento più diffuso è l’orgoglio, seguito poi dalla malinconia”. Secondo Brunella, infatti, il vero problema italiano non è tanto la fuga dei cervelli, quanto l’impossibilità per il nostro Paese di attirare talenti da fuori: “L’Italia non ha ancora capito l’importanza della circolazione del capitale umano – osserva – e purtroppo la nostra qualità della vita non è minimamente paragonabile a quella degli altri Paesi occidentalizzati”. Questo, poi, è un problema anche per gli italiani che vorrebbero tornare: “Non è solo una questione di stipendio più basso – sottolinea -, una volta che una persona si abitua ad avere una burocrazia snella e servizi per la famiglia e l’infanzia poi è difficile fare un passo indietro”.

“All’inizio andavamo a trovare più spesso nostro figlio. Poi ci siamo resi conto che lui sta costruendo la sua vita lì, ed è giusto così”

Valerio Lombardi, ingegnere e padre di un ragazzo che vive a Londra da cinque anni, ha una visione ancor più pessimista sull’Italia: “Le scelte politiche fatte dal nostro Paese negli ultimi 20 anni continuano a penalizzarci a livello mondiale ed europeo – spiega – oggi per i ragazzi che restano qui è difficilissimo realizzarsi nella loro professione, anche dopo tanti anni di studio”. Per questo quando il figlio ha detto di voler studiare bioingegneria a Londra, lui e sua moglie l’hanno appoggiato al 100%: “In Italia non puntiamo più sull’eccellenza e questo alla fine ha avuto ripercussioni negative anche sull’università – ammette -, quando mio figlio è riuscito a superare la selezione per entrare all’Imperial College sono stato molto orgoglioso e ho anche fatto un sospiro di sollievo”.

La sua rabbia, quindi, è tutta nei confronti di un Paese che non permette ai più bravi di emergere, ma anzi, li costringe ad andare via: “Io per fortuna non ho dovuto vivere la frustrazione di un figlio che lascia l’Italia perché non trova lavoro, ma se oggi fossi un giovane neolaureato me ne andrei a gambe levate”, sottolinea. Per lui diventare padre di un cervello in fuga è stato quasi uno step naturale: “Quando ho capito che a Londra poteva ricevere un’ottima preparazione ho accettato con felicità la sua decisione – spiega – e, anche se siamo lontani, il nostro rapporto si è intensificato, perché abbiamo imparato a sfruttare al meglio il poco tempo a disposizione per parlare”. L’orgoglio per la strada che il figlio si sta costruendo all’estero, poi, spazza via ogni malinconia: “All’inizio andavamo a trovarlo più spesso – conclude – poi ci siamo resi conto che lui sta costruendo la sua vita lì, ed è giusto che sia così”.

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