Confesso di essere ancora in piena crisi da scoramento dopo aver seguito la sceneggiata domenicale degli addii, offerta dal Partito Democratico; con lo strascico surreale di questo martedì. Una vicenda preannunciata ad alto contenuto emotivo rivelatasi una guittata pazzesca. In cui tutti i commedianti sotto il riflettore (a parte un dignitoso Guglielmo Epifani) si sono espressi molto al di sotto dei livelli minimi della decenza. Insomma, una giullarata.
Se la frantumazione del maggiore partito italiano, prima di andare in scena, poteva apparire un passaggio cruciale, uno di quei momenti destinati alla menzione nei libri di storia, in quanto fondativo di svolte politiche “alte” (come Livorno 1921 o il Palazzo Barberini 1947), nel suo svolgersi l’avvenimento ha soltanto registrato la totale e generalizzata incapacità dei gruppi contendenti di articolare un discorso politico minimamente in grado di sollevarsi dal rasoterra più infimo.
Aveva incominciato il primattore designato Matteo Renzi con la sua relazione, in cui presumeva di sfoggiare i toni di chi dialoga con la storia ( dal “vi prometto lacrime e sangue” di Winston Churchill al “I have a dream” del reverendo Luther King) ed è finito per risultarne la caricatura a fumetti. Neppure il Grande Black, semmai il Superbone de il Monello. Penoso l’essersi avventurato nella discussione sulla forma-partito, spiegando che l’unica alternativa al deprecabile modello aziendale (che va da Beppe Grillo e Casaleggio Partner al Berlusconi-Fininvest, con cui pure si è abbondantemente trafficato) sarebbe rappresentata da quel Partito Democratico da lui trasformato in uno strapuntino per i propri capricci. Appunto, nient’altro che un partito personale. Ma altrettanto risibile è risultato il deuteragonista nella trama; quel tatticamente silente governatore pugliese Michele Emiliano, che sembra ormai il clone di Adolfo Celi nei panni del monarca di Brancaleone alle crociate; con il suo risibile tentativo di spiazzare i giochi, dopo tanto tuonare contro il segretario, passando il cerino della colpa-scissione alla maggioranza. Indossando senza soluzione di continuità (e una qualche plausibile argomentazione) i panni improbabili del mediatore. Con il brillante risultato di fare apparire la giravolta “unitaria” come l’ennesima furbata che si accartoccia su se stessa.
Una rappresentazione da fischi e lanci di ortaggi, con il contorno di animule impalpabili e insignificanti; vecchie e nuove: l’avvizzito ex attor giovane Gianni Cuperlo che non gli riesce di fare il dottor sottile, diffondendo negli spettatori dell’ennesimo fallimento un senso di inguaribile melanconia, o il buonista eclettico Valter Veltroni, miscelatore compulsivo di emulsioni in cui galleggiano Berlinguer, Kennedy e le figurine Panini. Accompagnati dalla presenza imbarazzante di chi voleva farsi leader ed è inciampato al primo ostacolo. Per dire, i senior Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro o gli junior Roberto Speranza e Matteo Orfini. L’anemico Andrea Orlando, ossessionato dall’idea di essere rispedito nella natia La Spezia (dove lo attende in agguato per sbranarlo l’antica compagna Lella Paita).
A questo punto ci si può chiedere: ma cos’è che or ora ha fatto uscire dai loro anfratti questa banda di lemuri, questa torma di larve? L’esca è una sola: la promessa del proporzionale; cioè un sistema elettorale che garantisce a tutti un posticino al sole e un seggio in Parlamento. Con effetti centrifughi. Per cui a sinistra si scatenano le velleità di protagonismo di una pletora di sigle (la nascente Rifondazione Socialista dei profughi Pd, la Sinistra Italiana ex Sel, il Campo Progressista di Pisapia; e chi più ne ha più ne metta, tra qualche residuato rifondarolo e l’inaffondabile De Magistris). Il tutto per spartirsi uno spazio elettorale che si aggira sul 6%.
La stessa bulimia di potere a destra. Sicché il rinnovato asse Alemanno-Storace contende alla Giorgia Meloni la bagatella di un 2/3 per cento di consensi.
Pierfranco Pellizzetti
Saggista
Politica - 22 Febbraio 2017
Scissione Pd, una torma di larve con una sola esca: il proporzionale
Confesso di essere ancora in piena crisi da scoramento dopo aver seguito la sceneggiata domenicale degli addii, offerta dal Partito Democratico; con lo strascico surreale di questo martedì. Una vicenda preannunciata ad alto contenuto emotivo rivelatasi una guittata pazzesca. In cui tutti i commedianti sotto il riflettore (a parte un dignitoso Guglielmo Epifani) si sono espressi molto al di sotto dei livelli minimi della decenza. Insomma, una giullarata.
Se la frantumazione del maggiore partito italiano, prima di andare in scena, poteva apparire un passaggio cruciale, uno di quei momenti destinati alla menzione nei libri di storia, in quanto fondativo di svolte politiche “alte” (come Livorno 1921 o il Palazzo Barberini 1947), nel suo svolgersi l’avvenimento ha soltanto registrato la totale e generalizzata incapacità dei gruppi contendenti di articolare un discorso politico minimamente in grado di sollevarsi dal rasoterra più infimo.
Aveva incominciato il primattore designato Matteo Renzi con la sua relazione, in cui presumeva di sfoggiare i toni di chi dialoga con la storia ( dal “vi prometto lacrime e sangue” di Winston Churchill al “I have a dream” del reverendo Luther King) ed è finito per risultarne la caricatura a fumetti. Neppure il Grande Black, semmai il Superbone de il Monello. Penoso l’essersi avventurato nella discussione sulla forma-partito, spiegando che l’unica alternativa al deprecabile modello aziendale (che va da Beppe Grillo e Casaleggio Partner al Berlusconi-Fininvest, con cui pure si è abbondantemente trafficato) sarebbe rappresentata da quel Partito Democratico da lui trasformato in uno strapuntino per i propri capricci. Appunto, nient’altro che un partito personale. Ma altrettanto risibile è risultato il deuteragonista nella trama; quel tatticamente silente governatore pugliese Michele Emiliano, che sembra ormai il clone di Adolfo Celi nei panni del monarca di Brancaleone alle crociate; con il suo risibile tentativo di spiazzare i giochi, dopo tanto tuonare contro il segretario, passando il cerino della colpa-scissione alla maggioranza. Indossando senza soluzione di continuità (e una qualche plausibile argomentazione) i panni improbabili del mediatore. Con il brillante risultato di fare apparire la giravolta “unitaria” come l’ennesima furbata che si accartoccia su se stessa.
Una rappresentazione da fischi e lanci di ortaggi, con il contorno di animule impalpabili e insignificanti; vecchie e nuove: l’avvizzito ex attor giovane Gianni Cuperlo che non gli riesce di fare il dottor sottile, diffondendo negli spettatori dell’ennesimo fallimento un senso di inguaribile melanconia, o il buonista eclettico Valter Veltroni, miscelatore compulsivo di emulsioni in cui galleggiano Berlinguer, Kennedy e le figurine Panini. Accompagnati dalla presenza imbarazzante di chi voleva farsi leader ed è inciampato al primo ostacolo. Per dire, i senior Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro o gli junior Roberto Speranza e Matteo Orfini. L’anemico Andrea Orlando, ossessionato dall’idea di essere rispedito nella natia La Spezia (dove lo attende in agguato per sbranarlo l’antica compagna Lella Paita).
A questo punto ci si può chiedere: ma cos’è che or ora ha fatto uscire dai loro anfratti questa banda di lemuri, questa torma di larve? L’esca è una sola: la promessa del proporzionale; cioè un sistema elettorale che garantisce a tutti un posticino al sole e un seggio in Parlamento. Con effetti centrifughi. Per cui a sinistra si scatenano le velleità di protagonismo di una pletora di sigle (la nascente Rifondazione Socialista dei profughi Pd, la Sinistra Italiana ex Sel, il Campo Progressista di Pisapia; e chi più ne ha più ne metta, tra qualche residuato rifondarolo e l’inaffondabile De Magistris). Il tutto per spartirsi uno spazio elettorale che si aggira sul 6%.
La stessa bulimia di potere a destra. Sicché il rinnovato asse Alemanno-Storace contende alla Giorgia Meloni la bagatella di un 2/3 per cento di consensi.
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Israele, terremoto allo Shin Bet: Netanyahu silura il capo Bar e denuncia il suo predecessore
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Il presidente del partito israeliano Unità Nazionale, Benny Gantz, definisce il licenziamento, da parte del premier Benjamin Netanyahu, del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, "un colpo diretto alla sicurezza dello Stato e allo smantellamento dell'unità nella società israeliana per ragioni politiche e personali".
Anche il presidente di Yisrael Beytenu, Avigdor Liberman, condanna la decisione, dichiarando che se il Primo Ministro Netanyahu “avesse combattuto Hamas con la stessa determinazione con cui sta combattendo il capo dello Shin Bet, l'ufficio del Procuratore generale e il sistema giudiziario, l'olocausto del 7 ottobre sarebbe stato impedito”.
Mosca, 16 mar. (Adnkronos) - La Russia ha ripetutamente affermato che non dovrebbero esserci “forze di peacekeeping” della Nato in Ucraina. E se l'Alleanza decidesse di aiutare Kiev in questo modo, significherebbe la guerra. Lo ha affermato su X il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato la sua intenzione di licenziare il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, e di averlo "informato che la prossima settimana presenterà una proposta al governo per porre fine al suo mandato".
In una dichiarazione successiva, Netanyahu ha spiegato: “In ogni momento, ma soprattutto durante una guerra esistenziale come quella che stiamo affrontando, deve esserci piena fiducia tra il primo ministro e il capo dello Shin Bet. "Ma sfortunatamente, la situazione è l'opposto: non ho questa fiducia. Nutro una sfiducia continua nel capo dello Shin Bet, una sfiducia che è solo cresciuta nel tempo".
(Adnkronos) - "Il nemico americano ha lanciato un'aggressione palese contro il nostro Paese nelle ultime ore con oltre 47 attacchi aerei", si legge nella dichiarazione. In risposta, "le Forze Armate hanno condotto un'operazione militare specifica prendendo di mira la portaerei americana USS Harry S. Truman e le sue navi da guerra nel Mar Rosso settentrionale con 18 missili balistici e da crociera e un drone".
"Con l'aiuto di Allah Onnipotente", prosegue la dichiarazione, "le forze armate yemenite continueranno a imporre un blocco navale al nemico israeliano e a vietare alle sue navi di entrare nella zona di operazioni dichiarata finché gli aiuti e i beni di prima necessità non saranno consegnati alla Striscia di Gaza".
Sana'a, 16 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno risposto ai bombardamenti americani sullo Yemen attaccando la USS Harry S. Truman nel Mar Rosso con missili balistici e un drone. Lo rivendica il portavoce del gruppo yemenita.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - La polizia israeliana ha aperto un'indagine sull'ex capo dell'agenzia di sicurezza Shin Bet, Nadav Argaman, dopo che venerdì il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato una denuncia.
Il premier israeliano ha accusato Argaman di ricatto e reati legati alla legge che riguarda lo Shin Bet, che proibisce ai dipendenti dell'organizzazione di divulgare informazioni ottenute nell'ambito del loro lavoro.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un abitante di Gaza, che stava "tentando di piazzare ordigni esplosivi" nei pressi del corridoio di Netzarim, è stato ucciso. Lo riferisce l'esercito israeliano.