Di proroga in proroga, la politica rimanda l’entrata in vigore delle norme anti-abusivismo, provocando un intollerabile far west a beneficio pressoché esclusivo di una multinazionale che non paga nemmeno le tasse in Italia
La protesta dei tassisti ha creato disagi e caos in molte città, ma il clima attorno a loro è cambiato rispetto a soli due anni fa, complice anche il fatto che si sta facendo strada la percezione che Uber e i servizi di noleggio con conducente stiano alla sharing economy come i cavoli a merenda. In questi ultimi anni le proteste – anche violentissime – contro Uber sono dilagate in tutta Europa, in Asia e perfino negli Stati Uniti, dove la multinazionale ha sede. Proteste dei tassisti contro una concorrenza reputata sleale e proteste degli autisti di Uber a causa di compensi da fame e di condizioni lavorative pessime che non prevedono alcuna garanzia di carattere previdenziale o sanitario. A poco a poco è emersa una realtà fatta di sfruttamento e persino in California, terra natale di Uber, la Commissione del Lavoro ha stabilito che la multinazionale deve inquadrare i suoi autisti come lavoratori dipendenti, con tutto quello che ne consegue in termini di innalzamento dei costi.
A smorzare gli entusiasmi di molti italiani verso il cosiddetto modello Uber ha contribuito anche il fatto che le tariffe del servizio sono variabili e che se qualche volta il consumatore può risparmiare qualcosa rispetto al taxi, nei momenti di maggior bisogno le tariffe vanno alle stelle: tutto il contrario del servizio pubblico svolto dalle auto bianche, le cui tariffe sono concordate a livello comunale. Nella guerra contro Uber i taxi hanno vinto la prima battaglia due anni fa ottenendo la messa al bando del cosiddetto servizio UberPop, quello che consentiva a chiunque di improvvisarsi tassista e di offrire attraverso la app “passaggi” a tariffe super scontate. Era questa la vera killer application con cui Uber voleva in breve tempo sbancare il mercato e mettere con le spalle al muro i tassisti. A bloccarla sono stati i tribunali e non il governo che anzi, di proroga in proroga, rimanda l’entrata in vigore delle norme anti-abusivismo e rinuncia a regolamentare il settore, provocando un intollerabile far west a beneficio pressoché esclusivo di questa controversa multinazionale che non paga nemmeno le tasse in Italia.
I tassisti possono stare o meno simpatici, ma svolgono un servizio pubblico, sono tenuti al rispetto di determinati standard, sono imprenditori che operano in un regime tariffario regolamentato, pagano le tasse e offrono al trasportato le più ampie tutele in caso d’incidente. Magari gli standard non sono proprio gli stessi da città a città, magari le vetture non sono sempre adeguate, talvolta si verificano dei problemi, però chi guida un taxi è tenuto ad avere determinati requisiti e se qualcosa non va il consumatore sa a chi rivolgersi per protestare e far valere i propri diritti. Tutto questo viene meno quando si entra nel cono d’ombra delle vetture con conducente, siano esse di Uber o di altre aziende. E’ tollerabile che il governo non si occupi della regolamentazione del settore consentendo di fatto a un colosso di entrare sul mercato facendo dumping? Sarebbe questa l’idea che si ha di concorrenza? Uber può permettersi di perdere 4 miliardi di dollari – come ha fatto in questi anni – e di continuare a stare sul mercato forte degli enormi finanziamenti profusi dai suoi investitori. E’ il modo di operare di un monopolista in pectore, cui si sta dando mano libera senza creare alcun vantaggio ai consumatori, ai lavoratori e allo Stato.
Certamente le norme che regolano il settore dei servizi di trasporto passeggeri non di linea vanno riviste, occorre una maggior apertura alla concorrenza, anche tariffaria, con l’obiettivo di migliorare la qualità di servizi. E andrebbero anche fissati degli standard più rigidi il cui mancato rispetto comporti delle sanzioni e, nei casi più gravi, la perdita dell’abilitazione. Una liberalizzazione non selvaggia farebbe bene al settore e consentirebbe di assorbire in modo più efficiente la domanda reale e potenziale per questi servizi che, soprattutto nelle grandi città, è in forte crescita. Per arrivarci però occorrerebbe sedersi finalmente a un tavolo e discutere delle regole con sguardo lungimirante. Tutto il contrario di quello che si è fatto finora, ossia fingere di cedere alle richieste corporative della categoria dei tassisti lasciando al contempo mano libera al dumping effettuato da chi opera al margine della legalità e può fare le tariffe che vuole, compreso scegliere di operare in perdita pur di conquistare fette di mercato e mettere all’angolo chi le regole le rispetta.