La comunicazione della Commissione sul progresso delle riforme rileva che "le sfide dell'Italia legate alla corruzione ad alto livello, ai conflitti di interesse, ai collegamenti con la criminalità organizzata e la corruzione nel settore privato sono ancora confermate da diversi indicatori". Sul sito di via XX settembre però si legge che Bruxelles ha rilevato solo due problemi: "Il livello di crediti bancari in sofferenza e le divergenze tra le regioni sulla regolazione della economia collaborativa"
La prescrizione che ostacola la lotta alla corruzione, i conflitti d’interesse, i collegamenti con le associazioni criminali, la mancanza di giudici e gli appalti pubblici definiti come “un settore a rischio“. È severo come al solito il giudizio della Commissione europea sugli “squilibri” italiani che emerge dal rapporto ad hoc reso noto insieme a quello sul debito pubblico. Eppure per il Tesoro sono soltanto due i problemi segnalati da Bruxelles: stando al comunicato pubblicato sul sito del dicastero di via XX Settembre “la Commissione segnala il livello ancora alto di crediti bancari in sofferenza, che accennano a calare solo dal 2016, e divergenze tra le regioni sulla regolazione della cosiddetta economia collaborativa il cui sviluppo è considerato cruciale dalla Commissione per promuovere la crescita della competitività”. Nel rapporto semestrale, però, c’è anche altro.
“Riforme bloccate a metà 2016”- La comunicazione della Commissione sul progresso delle riforme strutturali nell’Eurozona non manca di riconoscere che Roma ha avviato una serie di “riforme positive“, un passaggio molto apprezzato dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. “Nella sua analisi annuale la Commissione Ue apprezza l’ampiezza delle riforme avviate e realizzate dai governi italiani in questi anni. Gli effetti delle riforme si vedono: la crescita è tornata, l’occupazione aumenta, il credito funziona meglio. Ma dobbiamo fare di più”, scrive su twitter, nonostante la stessa commissione sottolinei che “lo slancio delle riforme si è indebolito da metà del 2016 e restano lacune in politiche importanti, in particolare per quanto riguarda la concorrenza, la tassazione, la lotta alla corruzione ed il quadro della contrattazione collettiva”. In pratica l’azione riformatrice del governo si è bloccata nello stesso periodo in cui è entrata nel vivo la campagna elettorale per il referendum costituzionale. Ma non solo.
Nella sua analisi annuale @EU_Commission apprezza l’ampiezza delle riforme avviate e realizzate dai governi italiani in questi anni https://t.co/RCREYBoZkU
— PCPadoan (@PCPadoan) 22 febbraio 2017
Prescrizione ostacola lotta alla corruzione – “Il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione“, è l’incipit del lungo paragrafo dedicato al sistema giudiziario, uno dei
“Mancano risorse adeguate per Anticorruzione” – A questo punto la Commissione parla delle riforme che “sono state adottate per migliorare la repressione della corruzione, ma la riforma dei termini della prescrizione è ancora in attesa. Il corrente sistema rappresenta un notevole ostacolo per reprimere la corruzione. Un progetto di legge che introduce una sospensione di termini di prescrizione per tutti i processi penali e una estensione speciale per i reati di corruzione è in discussione in Parlamento da due anni”. In pratica si tratta di un nuovo riferimento al ddl di riforma del processo Penale da più di due anni in discussione al Senato. Tra le riforme giudiziarie citate dalla commissione quella “nella giustizia civile – si legge a pagina 14 del rapporto – una profonda riorganizzazione di tribunali è stata completata nel 2013, e sono state introdotte diverse misure di riforma, in modo da ridurre il contenzioso. Una legge sull’Anticorruzione è stata adottata nel 2012. La norma ha istituito un’Agenzia anticorruzione, che è stato rinforzata in 2014, ma ancora manca di risorse adeguate“.
“Durata dei procedimenti civili è sfida seria. E mancano giudici ” – E al tema delle risorse disponibili è dedicato anche il paragrafo sul sistema giudiziario italiano. “L’attuale mancanza di 1.439 su circa 9.921 giudici e del personale amministrativo (fino al 30% in alcuni campi) – scrivono da Bruxelles – pesa sulla capacità della magistratura di risolvere tempestivamente un gran numero di casi in entrata. Affrontare questa carenza, migliorando nel contempo la formazione e le attrezzature ed estendendo ulteriormente la digitalizzazione potrebbe contribuire a migliorare l’efficienza”. Il numero di giudici e amministrativi, dunque, è fondamentale per ridurre la durata dei processi. “Nonostante qualche miglioramento dell’efficacia
del sistema giudiziario, la durata dei procedimenti rimane una sfida seria – spiega Bruxelles sottolineando che “nel 2015, in Italia il tempo impiegato nei processi civili è uno dei più alti in Europa. Negli ultimi cinque anni, alcune riforme hanno contribuito a ridurre le cause pendenti in primo e secondo grado, ma il carico di lavoro è aumentato ancora presso la Suprema Corte di Cassazione (del 4% dal 2014). Nel 2016, il Parlamento ha approvato una riforma delle norme in materia di carriera, formazione e disciplina della magistratura onoraria e una legge per aiutare la Cassazione a ridurre il suo carico di lavoro, anche per creare uffici di supporto per assistere i giudici e permettendo a magistrati da altri reparti di lavorare su cause civili. La quota di cause civili in attesa per più di tre anni rimane uno dei principali problemi della giustizia in Italia, anche se l’arretrato è diminuito dal 2013 tranne nel caso della corte di Cassazione”.
“Crediti deteriorati avranno conseguenze sulla crescita futura” – Sul fonte economico, Bruxelles segnala che l’ammontare dei crediti deteriorati nei bilanci bancari ha “solo cominciato a stabilizzarsi e ancora pesa sui profitti delle banche e sulle politiche di prestito, con conseguenze negative sulla crescita futura”. Il sistema bancario “si sta lentamente riprendendo dal lungo periodo di crisi, ma appare più debole rispetto a quello di altri paesi dell’Ue”, continua il rapporto, in cui viene tra l’altro messa in evidenza, in una una tabella comparativa, che il capitale di maggiore qualità (Cet1) delle banche italiane è in media all’11,5% a fronte di una media Ue del 12,8% (con le francesi al 12,5% e le tedesche al 14,3%). Inoltre si osserva che la “recente risoluzione di quattro piccole banche”, ovvero Banca Marche, Etruria, Carichieti e CariFerrara, “ha comportato costi supplementari per il settore bancario che gravano sulla redditività”. Tra le criticità si osserva che l’aumento degli Npl “è coinciso con l’aumento del numero di procedure di fallimento e di insolvenza“, ma anche che “il regime di insolvenza ed i singoli mezzi di ricorso per la riscossione del debito in Italia appaiono deboli” e che se anche nel 2015 è stata adottata una nuova disciplina “gli effetti dell’ultima riforma in materia di insolvenza ed esecuzione forzata devono ancora farsi sentire, e manca ancora un regime di ristrutturazione funzionale per una certa quota di debiti deteriorati”.
“Ostacoli alla concorrenza e competitività ancora debole” – “La competitività resta debole”, continua il rapporto, “mentre le dinamiche della produttività cono rimaste sommesse, anche a causa della lenta ripresa degli investimenti”. Il Parlamento dovrebbe adottare a breve provvedimenti di liberalizzazione del mercato (il ddl concorrenza), “che tuttavia non elimineranno rilevanti ostacoli alla concorrenza in settori importanti quali commercio al dettaglio, servizi professionali, servizi pubblici locali e trasporti“. La conclusione? “Fare impresa in Italia è nettamente più difficile che nelle altre grandi economie dell’Ue e negli ultimi anni i progressi sono stati solo modesti”. Tutto questo “implica in prospettiva rischi di rilevanza transfrontaliera, in un contesto di alti non-performing loans e disoccupazione”. Come dire che l’Italia è una minaccia per i Paesi partner.