Lo scorso dicembre, dieci giorni dopo il trionfo del No al referendum costituzionale, ha ammesso che le previsioni catastrofiche sul presunto tracollo del pil e dei posti di lavoro in caso di bocciatura della riforma erano fortemente esagerate. A due mesi di distanza, il premier è cambiato ma Confindustria non cambia linea: sempre al fianco del governo in carica, in nome della stabilità che piace ai mercati e tranquillizza gli investitori. Tanto più ora che su Roma pende la spada di Damocle di una procedura di infrazione per debito eccessivo. Così l’ultima congiuntura flash del Centro studi di viale dell’Astronomia, dopo aver lanciato l’allarme sulla crescita – “inadeguata a uscire dalla crisi” – lega direttamente il ristagno del prodotto interno lordo alla “instabilità politica”, di cui “risente la domanda interna”. Al contrario, “ogni sforzo andrebbe dedicato al rilancio dell’economia e al sostegno dei posti di lavoro“. Insomma: molto meglio attendere il 2018 per andare alle urne e dedicare i prossimi mesi a completare le riforme e fare la manovra correttiva chiesta da Bruxelles. Nel frattempo però dall’Istat arriva la notizia che anche nel 2016, quando Matteo Renzi era saldamente alla guida del governo, i consumi sono rimasti al palo: le vendite al dettaglio hanno fatto registrare un debolissimo +0,1 per cento.
“L’Italia sfrutta bene il più robusto traino esterno” e “industria ed export trainano il pil”, si legge nella nota del Csc, ma, appunto, la domanda langue e “il credito rimane erogato con il contagocce“. Di conseguenza il pil “è atteso aumentare a ritmo lento anche nel primo trimestre 2017, dopo il +0,2% nel quarto 2016 e il +0,3% nel terzo”. Un ritmo “ben inferiore a quello dell’Eurozona, frenato dall’incertezza, specie politica”, se non fosse chiaro.
Per quanto riguarda il contesto, il Csc spiega che “lo scenario mondiale resta molto favorevole: si è fatta ancor più elevata la dinamica dell’attività produttiva e degli scambi internazionali. Sono pure più alti i rischi legati alla forte incertezza politica, alimentata tra l’altro dalle scadenze elettorali dei prossimi dodici mesi”, vedi le presidenziali francesi e le elezioni in Olanda, da cui può arrivare una “decisa svolta” per l’euro “in un senso o nell’altro”. Gli Stati Uniti “marciano a passo più spedito trainati dalla domanda interna”, ma “quando le misure espansive promesse dalla amministrazione Trump divenissero effettive, è possibile un surriscaldamento, data la bassa disoccupazione“, anche se si tratta “di un’eventualità ancora remota”. Gli economisti di Confindustria ricordano inoltre che la Cina prosegue nella direzione di un “atterraggio pilotato” su una velocità più sostenibile, la Russia è tornata su un sentiero di ripresa, l’India sta riassorbendo i contraccolpi della riduzione dell’uso del contante di grosso taglio e il Brasile rimane in una forte recessione.
In contemporanea con il report della confederazione sono arrivati appunto i dati Istat sui consumi 2016: il valore delle vendite al dettaglio resta “sostanzialmente stabile” al +0,1%, sintesi di un aumento per le imprese di maggiore dimensione (+1,2% per quelle da 6 a 49 addetti e +0,9 per quelle con almeno 50 addetti) e di una flessione per i piccoli esercenti (-1,8%). Il commercio al dettaglio in volume segna una diminuzione dello 0,3%. Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, ha commentato con una nota in cui si legge che “dal 2010 abbiamo perso il 10,1% dei volumi di vendite al dettaglio e il 4,8% a valore. Un trend dovuto, oltre che alle difficoltà concrete delle famiglie in questi lunghi anni di crisi, anche a un senso generale di incertezza e preoccupazione per il futuro, che ha frenato i consumi”. Confesercenti parla di “ennesimo anno nero per il commercio al dettaglio”, visto che “nemmeno il Natale è riuscito ad invertire il trend delle vendite: l’effetto è stato quasi nullo, come confermano i dati relativi al mese di dicembre, in calo sia sul mese che sull’anno precedente”.
Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, “il calo delle vendite in volume dimostra che la crisi non è ancora finita e che gli italiani sono ancora costretti a stringere la cinghia. E’ un fatto grave che i consumi siano ancora al palo, dato che sono la chiave per far ripartire la crescita economica”.