Grande soddisfazione in Piazza Gae Aulenti: l’aumento di capitale “monstre” da 13 miliardi di euro, il più grande mai realizzato in Italia, è stato integralmente sottoscritto confermando così i segnali positivi raccolti in questi mesi sul mercato da Unicredit. Il piano di rafforzamento patrimoniale e di rilancio messo a punto dall’amministratore delegato Jean Pierre Mustier e presentato il 13 dicembre scorso ha convinto sia i maggiori azionisti – il fondo statunitense Capital Research (6,7%) e il fondo di Abu Dhabi Aabar (5,04%) hanno sottoscritto interamente l’aumento per le loro quote – sia una larghissima platea di investitori istituzionali cui è dovuto in gran parte il pieno successo dell’operazione. Alla fine le sottoscrizioni si sono attestate al 99,8% dell’offerta di nuove azioni per un totale di 12,96 miliardi di euro di nuovi capitali raccolti. I diritti di opzione non esercitati, cui corrispondono nuove azioni per un controvalore di poco superiore ai 30 milioni di euro, saranno offerti da Unicredit in Borsa a partire da lunedì 27 febbraio.
Il pieno successo dell’operazione rappresenta il primo e più importante mattone del rilancio della banca che nello scorso esercizio ha avviato una profonda pulizia di bilancio sia effettuando nuove maxi-svalutazioni, tra cui quella della partecipazione detenuta nel fondo Atlante, sia cedendo un portafoglio da 17,7 miliardi di sofferenze lorde valorizzandole il 12,9%. Una scelta drastica, ma indispensabile per risultare credibili agli occhi del mercato, che non a caso è tornato a dare piena fiducia al gruppo e al suo management in attesa che il nuovo piano industriale venga implementato senza indugi e inizi a produrre i primi risultati.
Girata la boa dell’aumento di capitale, ora Unicredit può guardare al futuro con relativa tranquillità avendo riallineato i propri coefficienti patrimoniali a quelli delle maggiori banche europee e concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi (tra cui 4,7 miliardi di utili al 2019 con un Cet1 ratio superiore al 12,5%). Un tema rilevante che verrà presto affrontato sarà quello della governance: l’aumento di capitale ha avuto un effetto diluitivo molto forte e le Fondazioni bancarie vedono il loro peso complessivo nel capitale ridotto a meno del 5%. Solo Cassa di risparmio di Torino e Cariverona (entrambe all’1,8%) mantengono un minimo di peso, ma la Fondazione veronese ha scelto di comportarsi da investitore istituzionale e non chiederà posti in consiglio. Diverso il discorso della Fondazione torinese rappresentata oggi da un vicepresidente, Fabrizio Palenzona, che non intende affatto perdere il suo peso e che sta manovrando da mesi per spuntare la riconferma, nonostante il suo coinvolgimento nello scandalo Bulgarella e in quello del giro di poltrone dell’estate 2015. Sarà sufficiente il forte rimescolamento di carte nell’azionariato per ridisegnare nuovi equilibri in consiglio? E’ ancora presto per dirlo, così come è ancora presto per capire se i soci arabi della banca, secondi azionisti con il 5,04%, confermeranno ancora una volta la loro fiducia all’altro vicepresidente, Luca Cordero di Montezemolo le cui fortune da un po’ di tempo in qua non paiono più così solide. Una cosa è sicura: l’attuale consiglio è espressione di un’epoca che si è conclusa e difficilmente il mercato e i nuovi azionisti che hanno dato fiducia a Mustier e al suo management saranno disposti a tollerare una governance inadeguata al profilo di grande banca europea che Unicredit sta tornando ad assumere.